HIBAKUSHA: Lascerò il Mondo così crudele come l’ho trovato di Rita El Kahyat

Psicologa, antropologa, speaker televisiva e scrittrice di origini marocchine, Rita El Khayat è principalmente conosciuta per il suo ruolo di attivista per i diritti delle donne, argomento su cui ha scritto oltre 35 libri e 150 articoli scientifici.
Candidata al Premio Nobel per la Pace, ha ricevuto la cittadinanza onoraria italiana conferitale dal Presidente Giorgio Napolitano
il Mandir della Pace le ha conferito ad Assisi il titolo di Ambasciatrice di Pace

”Sto per raccontarvi una storia lunga, drammatica, ma bizzarra al tempo stesso! La gente passa il tempo ad attraversare, a trovarsi dinanzi a dei bivi, per poi scegliere una direzione (spesso la peggiore…), ad andare al di là dei confini interiori e anche di quelli a essi esteriori; vi transita il tempo necessario per vederci più chiaro.

Corrono da un mondo all’altro, tentando di comprendere ogni loro interazione, la propria immaginazione antiquata, le idee sfibrate, i loro strumenti da Babele, superati dalla velocità e dall’accelerazione: ogni anno perdono trenta di queste collane di parole che creano una lingua che dà dei sensi che esprimono meraviglie e che scompaiono, poiché i più anziani muoiono, senza insegnarle ai più giovani. I giocolieri si destreggiano tra le forme dell’arte e soffiano fuoco dalla bocca, giocando con cento palle alla volta, si esibiscono in contorsioni, danze ed esagerazioni …per ricominciare l’indomani, saltimbanchi dei misteri del godere umano, la risata, il canto, la musica, il piacere e i bagordi!

In questo caleidoscopio che si chiama Vita, non vi è mai la stessa configurazione da un istante all’altro, da un secondo a quello successivo, anche per i più immobili; il cielo di oggi non è mai e poi mai quello di domani. La luce che può essere una, mille, multipla, rosea o arancione, muore nello stesso momento in cui rinasce, all’infinito. In tutto questo cafarnao, tempo, spazio, limiti, confini, orizzonti, paesi permessi e paesi vietati, passato e presente, eternità e immortalità, alcuni privilegi ne definiscono i contorni, la forza e la durata: capacità che gli umani hanno ricavato dal nulla e dal vertiginoso.

Gli uomini hanno imparato a combattere questa precarietà, il vuoto attraverso l’opera dei poeti, degli scrittori, dei pittori, dei musicisti e dei compositori, dei cantanti e dei ballerini, delle ricamatrici e delle merlettaie, che hanno in sé un briciolo di divino e che ricreano ciò che vedono, in mille colori, suoni, immagini, emozioni e tutte le straordinarie sfumature della tenerezza, della crudeltà, del limite e della grandezza di ognuno…Tali creatori hanno ammiratori ferventi e curiosi proseliti che li sostengono, li ascoltano o li leggono, li guardano, partecipano essi stessi alla Creazione a partire di bellezza e senso.

Da parte mia, la storia che mi ha portata a diventare una scrittrice, o una romanziera, o ancora un giocoliere di parole, di lingue e di linguaggi, è lunga, oscura e incredibile. Ve la con le frasi e le immagini che seguono…

Uscita dal nulla, il mio primo passaggio, ho fatto il mio ingresso nell’età della coscienza mentre il mondo bruciava, alla fine della guerra; ho vissuto tutta la vita tra conflitti e violenze: le guerre ci sono ancora e sempre ci saranno e io posso solo contrastarle con l’arma delle mie parole…

Immaginate una bimba, la primogenita, che nasce nella miseria, tra i rumori dei bombardamenti, la paura, la morte, la distruzione del pianeta, un paesaggio apocalittico (strano, mi sovviene che molto tempo fa ho scritto una novella dal titolo “Paesaggio apocalittico!!!” e penso a Picasso, come vedrete più avanti…); credete davvero che si possa essere felici quando altrove, da qualche parte, al di là delle frontiere, barriere convenzionali c’è chi muore e avrebbe potuto salvarsi?!?

La guerra è una relazione tra crisi e conflitto, è una messa in opera dell’ostilità, tra almeno due belligeranti avversi che si manifesta obbligatoriamente attraverso dei combattimenti più o meno devastatori, che implicano terzi indirettamente o direttamente. Questa definisce ogni conflitto, avente come caratteristica principale la forza fisica, le armi, la tattica, la strategia, o la morte di alcuni dei suoi partecipanti, soldati, membri dell’MLN, Movimenti di Liberazione Nazionale, partigiani, franchi tiratori, o terzi, civili, membri dei convogli umanitari…

Io odio la guerra e vorrei, con tutte le mie forze, che sparisse dalla faccia della terra. La guerra ha alimentato l’orrore presente in alcuni dei miei testi, senza che io neanche me ne accorgessi: lo avverto scrivendo per voi, al di là delle frontiere geografiche, linguistiche o d’altro genere, queste pagine che voglio definitive. Si è capito che il quadro di Pablo Picasso, Guernica, non era il dipinto della guerra, ma quello del terremoto al quale egli ha assistito verso i tre anni e che vive, nel suo disastro, portato da suo padre sopra le spalle!!!

(v. dipinto su testo originale – Guernica, Pablo Picasso)

Il mio messaggio di disperazione e di lotta è anche di ribellione e di vita. Da sempre, sono stata un poeta impenitente e una ragazza, donna poi ingenua e sensibile, e tutti gli esseri prepotenti e malvagi hanno aggredito il mio tenero corpo per lacerarlo, violarlo, punirlo e umiliarlo. I più cinici l’hanno anche confessato! Ma io non ho la forza di odiare, di vendicarmi, di dire malvagità nascoste sotto una dolcezza velenosa: sono un essere umano. Gli altri hanno dimenticato la più semplice delle espressioni, la compassione!

Ecco la storia e il suo inizio.

Io sono il frutto dell’unione dei miei genitori. Evidenza semplice che tutti gli uomini condividono. E in questo, noi assomigliamo alle piante e agli animali. E’ una storia vecchissima che ha miliardi di anni.

Vediamo la versione iniziale.

(v. dipinto su testo originale Albrecht Dürer, Adamo ed Eva)

In una caduta vertiginosa, Adamo arriva sulla terra e, sentendosi solo, crea uscire Eva dalla sua costola, per avere una compagna. Quindi io sono un’escrescenza di un uomo, poiché i miei primi antenati, quelli che condivido con TUTTI, hanno così avuto origine, uscendo l’uno dall’altro, uno più debole dell’altro, uno gioiosamente padrone di colei che partorisce nel dolore il primo frutto del suo ventre, un Bambino, inaugurando questo lunghissimo arrivo di esseri umani fino a noi, fino a me che, oggi, dinanzi a Voi, leggo le parole tracciate da questa arma, non dimentichiamolo, quella della penna, della stilografica, della tastiera informatica. Armi temibili più di quanto si possa immaginare…

Nella versione più recente, quella evolutiva, non esistono più né Eva né Adamo, come si può vedere nei magnifici affreschi delle chiese di Palermo, o nelle miniature medievali, mentre, nudi, si guardano l’un l’altro, nascondendo le loro parti intime con foglie di vite, di acanto o di ogni altro arbusto…

Come risultato evolutivo degli animali scimmieschi della profonda ferita geologica del Rift, hanno assunto la posizione eretta, per sfuggire agli innumerevoli pericoli della vita: ognuno per sé e Dio per tutti, resta ancora, in questo contesto, la migliore delle espressioni!

(V. foto di scimmie su originale)

E’ quindi questo lungo percorso di umanizzazione delle grandi scimmie, i gorilla, gli scimpanzé comuni e in particolare di alcuni appartenenti alla famiglia dei bonobo, che ci ha portato ad essere così come noi siamo oggi, orde di umanoidi non ancora del tutto evoluti, perdonatemi se lo dico. L’avventura ha impiegato circa tredici milioni di anni, granelli di tempo, poiché il Big Bang ha (avrebbe), 13,7 miliardi di anni. I meno pignoli dicono 15 miliardi, forse per arrotondare la cifra!

Questa versione, detta scientifica, delle origini degli esseri umanoidi, ha qualcosa di buono, in quanto ci permette di accettare la ferocia dell’uomo, la sua violenza, la sua cupidigia, la sua rapacità e la sua crudeltà gratuita. Questi primati non sarebbero altro che delle tappe intermedie di un lungo percorso che li porterà un giorno a uno stato più perfetto, più vicino a questa briciola di divinità che risiede in ognuno di loro. Forse i politici che si azzuffano durante sedute burrascose per la preservazione della terra, degli animali, della biosfera in generale e dell’atmosfera in particolare, sono i precursori di coloro che un bel giorno diverranno Uomini e Donne, a tutti gli effetti.

Ecco come io lo vedo: belli, sereni, sorridono, tendono la mano, non accumulano nulla, non possiedono nulla o soltanto l’essenziale, sono pacifici e vivono ore incomparabili al levar del sole e al crepuscolo. Finalmente, come gli animali della savana, hanno imparato rituali superbi. Io li ho visti, spettacolo mirabile (quando l’Africa del Sud ha smesso di fare dei Neri, i soggetti e gli oggetti dei Bianchi e si poteva andare a visitarla senza restrizioni e senza apartheid), riunirsi intorno a pozze d’acqua, al calar della notte, per bere insieme il liquido della giornata passata.

Happy Hour!!! Momento gioioso e felice! I bar, l’avete capito (l’inglese fa rabbia) propongono di bere insieme, la sera, per celebrare la fine del giorno…

Oggi non ci sono più le grandi scimmie con mucchi di ossa, davanti alle loro tane, per dimostrare quanto più ricche e più predatrici, più voraci e più egoiste siano e nessuna scimmia femmina sarà superiore a un’altra, solo perché ha al dito una grande pietra fiammeggiante (successivamente questa pietra fu chiamata diamante: oggi, per cercarla nelle viscere della terra, muoiono tantissime persone; sono gli schiavi denominati minatori, i servi del capitalismo trionfante…); i leopardi non hanno delle Jaguar in cui fremono dinanzi ad adolescenti affascinati, gli elefanti non fabbricano dei jumbo jet, le loro enormi zampe sono più che sufficienti… io spero che il mio povero traduttore saprà rendere in italiano il gioco tra “leopardo e Jaguar”, marca di auto derivata dalla potenza di questo animale e tra “elefante e jumbo jet”, aereo da trasporto a reazione (termine composto da jumbo – nome scherzoso dato all’elefante – più jet) …

Nella spiegazione antica, detta “creazionista”, io mi perdo un po’. Poiché Adamo è stato paracadutato dal Paradiso, egli avrebbe dovuto conservare qualche elemento della sua perfezione e qualche reminiscenza della divinità dell’aria nella quale si è evoluto, in questo Eden favoloso, il Regno di Dio.

Ma i suoi tanti (o troppi?) discendenti sono queste orde di turisti patetici, telecamera in pugno, o anche questi hooligan che distruggono gli stadi e uccidono un poliziotto, padre di un bambino, per niente, perché hanno bevuto e perché avevano l’adrenalina alle stelle, o ancora questi pugili che si rompono il muso in nome dello sport, questi lottatori di sumo mostruosi che si scontrano l’un l’altro come degli idioti e dei delinquenti (sono gli eroi di questo popolo detto del Levante). Ora i discendenti di Adamo sono forse i soldati americani e inglesi, mascherati come degli extraterrestri, a seminare terrore e morte agli ordini di un grande Manitù, un malato e un folle…; i discendenti di Adamo sono forse i pirati dei Caraibi, i ladri, i pedofili, i terroristi, i corsari e i giannizzeri, le prostitute, i presidenti matti, i pervertiti, i bugiardi, i capi, i criminali, i delatori, i despota, i patriarchi, gli “Assassini”…

(XI-XII secolo: i seguaci assassini erano classificati per livello d’istruzione, di fedeltà e di temerarietà, il loro addestramento si fondava sull’indottrinamento e sull’attività fisica intensa. L’arma suprema di Hassan Ibn Sabbah, il grande tiranno, loro capo e scopritore, detto “il Vecchio della Montagna”, fu il terrore che egli seppe instillare abilmente, attraverso i numerosi e spettacolari omicidi. I membri venivano inviati a piccoli gruppi per uccidere la vittima da lui designata. L’esecuzione era obbligatoriamente pubblica, allo scopo di segnare le menti del popolo ed è per ciò che questi crimini politici si svolgevano vicino alla moschea il venerdì, durante la riunione dei fedeli intorno a mezzogiorno!)

…gli stalinisti, gli uomini condannati al Gulag.

(Il Gulag, acronimo che deriva dal russo, Glávnoie Oupravlénïe Lageréi, Direzione principale dei Campi di lavoro, era l’organismo che gestiva i campi di lavoro forzati in Unione Sovietica, estensione ipertrofica dei campi di lavoro forzati in Siberia che facevano parte del sistema penale della Russia zarista. Caratteristiche dell’esercizio violento del potere da parte del regime sovietico, i campi di lavoro del Gulag hanno accolto numerosi innocenti, veri criminali e una minoranza di oppositori politici, fino al 1953. Dopo l’inizio del regime, il loro funzionamento in condizioni durissime – molti campi si trovavano nelle regioni artiche e subartiche, come quelli celebri degli Urali settentrionali a Vorkouta, nel bacino di Pétchora, nelle isole Solovetski sul Mar Bianco e un gran numero in Siberia, in particolar modo quelli di Kolyma – si è manifestato attraverso la morte di moltissime persone, si stima tra i 3 e 4 milioni).

…gli addetti ai campi di concentramento, ai campi palestinesi, gli schiavi neri!!! Che folla e che sequela di azioni (c’è bisogno di una penna d’acciaio per scrivere la lunga epopea di quelli che, in quanto umani, divennero proprietà privata di altri esseri umani dalla pelle meno colorata…)

(La schiavitù designa la condizione sociale dello SCHIAVO, un lavoratore non libero e non retribuito che, giuridicamente, è proprietà di un’altra persona, quindi negoziabile come un oggetto. In senso lato, la SCHIAVITU’ è il sistema socio-economico che si basa sul mantenimento e sullo sfruttamento delle persone in tale condizione. Gli schiavi sono tenuti a obbedire a tutti gli ordini del loro padrone, sin dalla loro nascita, o dalla loro cattura, o dal loro passaggio allo stato di schiavo e fino alla morte, o talvolta alla loro liberazione o al cambiamento del loro stato. In quanto proprietà, lo schiavo può essere ogetto di trasferimenti inerenti alla nozione di proprietà; lo si può quindi comprare, vendere, o addirittura affittare. Egli si distingue dal prigioniero o dal forzato, condizioni vicine allo sfruttamento, e dalla bestia da soma, attraverso uno statuto giuridico proprio, determinato dalle regole e dalle leggi in vigore nel paese e nell’epoca in questione).

La schiavitù è in realtà un crimine contro l’umanità. L’America ha avuto il primato in questo campo. Io ho letto Clotel, il romanzo terribile che racconta la storia della figlia meticcia che il presidente degli Stati Uniti ebbe da una donna di colore e che fu venduta come gli altri: suo padre non l’aveva riconosciuta… Su trenta milioni di schiavi deportati dall’Africa in cinque secoli, la metà è morta durante il viaggio, attraversando spazi sconosciuti e ostili, in condizioni atroci, e moltissimi di loro si sono tolti la vita.

“Clotel” or, “The President’s Daughter”, is a novel by William Wells Brown (1815-1884), a fugitive from slavery and abolitionist, and was published in London, England, in December 1853. It gained notoriety amid the unconfirmed rumours regarding Thomas Jefferson and Sally Hemmings. Brown was still considered someone else’s legal property within the borders of the United States at the time of its publication. It is considered to be the first novel written by an African American. The book follows the experiences of three generations of Women during slavery.

(Non tradurre in italiano per rimarcare la violenza della lingua inglese che divora tutte le altre lingue…)

Dunque, per me, il miglior modo per diventare un essere umano è quello di ignorare la parte più crudele, più squallida e più brutta che risiede in lui. Sono le persone semplici e felici, o gli innocenti e “coloro che godono delle cose semplici”, candore meraviglioso che consacra la purezza e la santità di chi è separato dalla turpitudine dell’umanità, pur facendone ugualmente parte; che sorte favolosa…

Questi sono anche i pazzi del villaggio, gli idioti, i deficienti, gli eroi, i santi e i profeti, i guru, gli eremiti e certamente alcuni messia… gli artisti, i sognatori impenitenti, gli stravaganti, i bambini, i poeti, i saggi anziani, le donne incinte (alcune e non tutte, ahimè!), i volontari della Pace, i missionari, i morti che riposano, infine…

Alla fine di questo testo, purtroppo, tre volte purtroppo!!!, i discendenti di Adamo e delle grandi scimmie si sono confusi nell’impossibile stato attuale del mondo che io non comprendo più…; in francese si dice, su queste terre “dimenticate da Dio”, espressione splendida.

Forse è per questo che il Mondo si trova in questa inquietante configurazione e “Solo Dio riconoscerà i Suoi”…, altra espressione francese rimarchevole.

I miei antenati, donne arabe, nella clausura più totale delle case, praticavano l’ESBAR, la virtù suprema della pazienza e della resistenza (“l’ho fatta lunga”, perdonatemi questa espressione familiare, scrivendo tanto su questa condizione di… pazienza illimitata, terribile, definitiva… i testi sono a vostra disposizione, se vi venisse voglia di leggerli…); queste dicevano, pallide e amareggiate (non vedevano mai la luce del sole, quindi avevano una pelle bellissima, ma erano anche rachitiche e anemiche), nei momenti difficili o di tristezza, di rassegnazione o di guerra persa (altra espressione francese molto interessante!), per citarle:

«La ilaha ila lah ou sbar!!!» Non c’è che Dio e la pazienza…

Come avrete capito, io l’ho perduta, intendo la pazienza, quando ho iniziato a scrivere, a dipingere, a viaggiare («Viaggiare è vincere», è un proverbio arabo e il viaggiare, come si può immaginare, è riservato solo agli uomini, poiché le donne erano segregate, immobili, e uscivano solo dal «ventre della propria madre fino alla tomba», espressione araba MINEL MAHDI ILA LAHDI!!!), a esprimere le mie opinioni all’Uomo, erede e discendente di Adamo, anche pagando a caro prezzo questa libertà affascinante e terribile: «Anche se sono soltanto una parte di te, poiché Dio ha voluto così, preferisco non ubbidirti, perché sei imperfetto, mi sembra!!!»

Orde di donne volevano farmi la pelle per averlo detto! Erano più vendicative degli uomini…

Ho vissuto in un oceano di aggressività tale che ho avuto qualche difficoltà a capire perché «i miei avi», intendo la mia razza, fossero tanto violenti e determinati a vivere secondo i parametri più feroci dell’esistenza umana. Una domanda mi resta sospesa sulle labbra: perché non sono adeguata alla mia società e alla mia cultura? Perché, dal momento che ne faccio parte, sono quella che sono, una donna vicina alla sensibilità e alla tenerezza, alla gentilezza e alla cortesia?

Ma oggi, io navigo in un bagno di furore che non riesco a dominare; la notte scorsa, tra il 15 e il 16 aprile 2007 sono stata risvegliata da un incubo spaventoso. Con il cuore in gola, mi sono alzata di scatto nel cuore della notte per sapere se Casablanca stava bruciando. In questo sogno orribile, c’erano solo esplosioni e fumo, rovine e crolli di edifici alti, tanto da pensare alla fine del mondo (il mio mondo…?).

Gli uomini si fanno esplodere di nuovo dopo l’11 marzo scorso, uno in un cybercafé e altri quattro a seguire il 10 aprile e due fratelli il 14 aprile 2007, vale a dire un giorno prima di fare questo sogno in cui mi chiedevo perché non avessi in casa cibo a sufficienza per sopravvivere… nel caso in cui non fosse stato più possibile uscire di casa…

Sì, io vivo in una città dove la gente si fa esplodere e, sentendo le esplosioni delle bombe umane, ho realizzato che si trattava ancora di una o più persone che si facevano saltare in aria, con gli echi delle esplosioni per tutta la città, a nient’altro paragonabili, anche se ho continuato a occuparmi delle mie cose, quel sabato mattina. L’incubo mi fa capire che nel più profondo di me stessa sono molto spaventata, come quando una bestia avverte un grande pericolo, ma non sa dirlo…

Perché questi uomini si fanno saltare in aria? E’ una domanda così colossale che posso solo continuare a chiedermi perché una tale violenza abita nel profondo di questi uomini, per la maggior parte giovani?

Eppure, ho scritto un testo inneggiando a Casablanca. Scrivendolo, ci credevo con tutte le mie forze. Quindi, io sono accanto alla realtà; il giorno stesso delle ultime esplosioni (due fratelli che si sono fatti saltare in aria a pochi secondi di distanza. Suppongo che il secondo abbia trovato la forza di farsi esplodere, quando si è reso conto che il fratello era morto), sono uscita e ho camminato tre ore per Casablanca fino a procurami delle vesciche ai piedi e tornare a casa in taxi, tremendamente tormentata dentro per ciò che avevo visto e udito. Ho scattato delle foto con lo stomaco chiuso per la paura, poiché le reazioni dei passanti e della gente sui marciapiedi sono aggressive e idiote. Io sono pronta a farmi fotografare da chiunque si trovi per strada, poiché in quel medesimo istante «anch’io faccio parte» della strada! La scena più violenta dinanzi a me è stata una donna che mendicava con tre bambini, uno attaccato al seno e gli altri due seduti vicino a lei… perché continua a fare figli?

É comunque necessario che io testimoni e che racconti, altrimenti come se ne uscirà?

Non è possibile concludere questa storia straordinaria degli esseri umani che discendono dalle scimmie e quella dei discendenti di Eva e Adamo, senza porre un insieme di domande che mi tortura e mi ossessiona: «Cosa ho fatto io, in qualità di essere umano povero e fragile, per meritare questa vita?» Il problema è insoluto e non posso certo sognare come faceva Robinson Crusoe sulla sua isola, in compagnia delle sue capre, del suo cane e del fedele Venerdì. Non riesco più a leggere tranquilla e beata, sola, ma senza angoscia alcuna Le Quartine di Omar Khayyam, in cui egli dice: «UNA ROSA DISSE: Io sono la meraviglia dell’universo. Davvero un profumiere avrebbe il coraggio di farmi soffrire? E un usignolo allora cantò: Un giorno di felicità prepara a un anno di lacrime… ».

Non avrò mai il tempo di percorrere i quarantaquattromila versi che ci ha tramandato Jalal-Eddine Roumi, questo mistico folle d’amore che seppe infonderlo così bene nelle pieghe più nascoste delle parole e nei più deboli dei suoi emistichi…

Ecco quello che egli ha scritto: «Non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato».

Djalal-Eddine Roumi, Le livre du dedans

«La rosa è un giardino ove si nascondono gli alberi».

Djalal-Eddine Roumi

Intanto, non so dove si trovino i discendenti delle scimmie e quelli di Adamo ed Eva, in relazione ai fumacchi delle bombe atomiche, poiché c’è chi ha i mezzi per farle nascere e altri che vi aspirano.

(Allo scopo di costringere il Giappone a capitolare durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti lanciarono due bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945. In ciascuna città, morirono sul colpo più di 75.000 persone. I tantissimi superstiti morirono a seguito delle ferite riportate e dell’esposizione alle radiazioni. La sindrome da irradiazione acuta fece decine di migliaia di vittime nei mesi successivi. Le leucemie continuarono a uccidere negli anni e nei decenni dopo la guerra e tra le giapponesi i casi di cancro al seno si triplicarono. Uccidere dei civili è un crimine di guerra, secondo le convenzioni internazionali. I sopravvissuti alle esplosioni, gli Hibakusha, sono diventati il simbolo di una lotta contro la guerra e le armi atomiche in tutto il mondo).

Grazie, quindi, vivamente alla Letteratura che non ha fine, non ha limiti, né barriere e divieti, quando mette in contatto uno scrittore afro-americano del Diciannovesimo secolo con una donna arabo-andalusa-africana del Ventunesimo secolo.

Avrete capito che parlo di me

Oggi, davanti a Voi, divenuta una HIBAKUSHA, bruciata a mia volta dalle aberrazioni della vita e dalle innumerevoli ingiustizie che ho vissuto, bombe nucleari che mi hanno mutilata per sempre, concludo la mia storia sui discendenti delle scimmie e quelli di Adamo, poco importa la versione iniziale, perché vorrei che la terra fosse…!

La terra è la mia casa come per voi tutti. Ascoltate! Oggi mi hanno raccontato una storia straordinaria: ieri, martedì 17 aprile, di sera, un violento temporale si è abbattuto su Casablanca. Il fragore del tuono è stato assordante, impedendo a chiunque di dormire. A una bimba svegliatasi molto dopo, è stato chiesto: «Che cos’è stato questo rumore?» E lei ha risposto tranquilla: «Il terrorismo». Avrete compreso che si può vivere in qualsiasi condizione di rumore e di violenza…

Io tuttavia, mi dispiace, non sono abituata a considerare normale ciò che non lo è… vorrei avere campi di rose all’orizzonte, che si levano contro le brutture. Io amo le rose al di là di ogni amore e mettendole in un vaso, piango per la brevità della loro vita… Ne annuso la fragranza, accarezzo il velluto delicato dei loro petali, sorrido loro e gli parlo: «Forza ragazze, siete bellissime!», e ho l’impressione, quando si riprendono nell’acqua che placa la loro sete, che mi abbiano ascoltata e che vivranno un po’ più a lungo, come me che devo terminare il lavoro, effluvi di parole tracciate per sopravvivere al Tempo…

Vorrei vivere di fronte al mare, davanti a un campo di papiri, o di bambù. Trascorrendo il mattino davanti alle onde, saprei che tutti hanno mangiato e dormito bene, gli uccelli dei giardini, le donne che hanno appena partorito, i bambini un po’ agitati, mia figlia con il dito in bocca, gli elefanti nella savana, i panda in Cina, mia sorella davanti alla sua postazione di lavoro, la mia amica davanti al suo testo da tradurre, il mio editore di fronte alla sua collezione di vetrerie rosse, una fiamma splendida che mi piace tanto, quando vi passo davanti, le mie due mamme, anziane e stanche, irrequiete e colme di amore per me; sono sicura che consumeremo una cena superba nel ristorante di montagna, dove i miei occhi stanchi hanno scambiato per enormi mazzi di fiori bianchi del formaggio fresco, generoso e tenero. Io sono miope ed è impressionante vedere il mondo attraverso un alone sfocato, dolce, magico: io scambio pozzanghere per specchi e persone troppo conosciute per sconosciuti meravigliosi e grandiosi…

Ho tracciato nuovamente dei confini, poiché nessuno può impedirmi di andare a guardarlo vivere nella sua miseria e nel suo splendore…questo mondo intero, immenso e ricco di tutti i suoi colori, la sfera sulla quale io trascorrerò la mia esistenza, questa Terra che io considero piccola e colossale, ingiusta, ha creato paesi buoni e paesi meno buoni, e cattiva, essa ha privilegiato il maschile al femminile ed è stata dominata dal più forte. Non ci sono potenti, ci sono solo sconfitti…

I seguaci di Adamo ed Eva e quelli delle grandi scimmie non si sono ancora messi d’accordo. Io lascerò il Mondo così crudele come l’ho trovato. Ma il mio messaggio è un messaggio positivo… La fine dei giorni è un miracolo senza posa…L’India è bella, se non vi si sosta troppo a lungo. Il Marocco è terra di Siena e violetto, l’Italia è un braccio di mare del Mediterraneo turchese. I leoni ruggiscono nella savana. Le pantere reali portano ancora a spasso i loro mantelli neri fino al cuore delle giungle più oscure. Le liane continuano a spuntare nella foresta amazzonica e io osservo il Nilo con mia figlia, mentre il battello discende scivolando sull’acqua calma; è notte, l’aria è mite e irradia una gioia serena. Abbiamo fatto bene a nascere tutte e due. Il mondo è bello. Poco importano le storie della donna e dell’uomo e le grandi scimmie non hanno ancora pronunciato l’ultima parola. Noi le guardiamo danzare nella Place Jama Elfna, a Marrakech, tra i rumori della sera, colorata e profumata di mille fragranze…

Un giorno il mondo sarà questo istante sereno, quando noi ci riposeremo in riva all’acqua, la notte già calata, eterna… ora blu e perfetta.

Rita El Khayat

Casablanca, 28 aprile 2007

(Traduzione di Antonella Perlino)

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