Essere Pace secondo il principio antropico, secondo il principio atmico
Relazione di Giovanni Tartara
Assisi – VII Edizione ”L’Oriente incontra l’Occidente insieme per la Pace” 11.09.2004
Se riuscirete a lasciare passi di pace e liberi da ansia su questa terra, non avrete più bisogno di andare nella Pura Terra o nel Regno dei Cieli
Thich Nhat Hanh
LA VIA DELLA PACE
Se una persona volge la sua visione all’interno
solo allora sarà in grado di capire il vero significato della vita,
la vera filosofia del conoscere, il vero compito di educare all’IO.
Sri Sathya Sai Baba
ESSERE… ANDARE: I due poli della vita.
La maestosa stabilità della montagna, la tortuosa precarietà del sentiero. La quiete della vetta, l’inquietudine di un passo. L’infinito dell’orizzonte, i limiti di un ciglio. Il tetto del desiderio, la pausa del provvisorio. Un cerchio, un arco. Oscillare tra due poli, sentirsi braccio di un pendolo, cercare il principio e la fine, finché il cuore non trovi la pace. Essere ‘desiderium habens dissolvi et esse cum..’ (Fil. 1,23), perdere questa forma e trovare quella dell’essere insieme con… Il cerchio, chiuso, perfetto in se stesso.
‘Essersi’, come intende Maria Zambrano (Notas de un metodo), nella forma riflessiva, assolutamente intraducibile in italiano, uscire da sé, potersi vedere, ‘posse aliud esse ac videri’: essere altro da quello che si appare, (Agostino Contra Academicos, III, 9-25)
Andare ‘Inquietum est cor nostrum donec requiescat…’ (Conf. I, 1), espressione brevissima e lirica del destino dell’uomo, che è inquietudine, a volte fraintesa, mai eliminata.
La figura dell’esistenza non può essere il cerchio, ma l’arco gettato oltre ciò che incontra, nel senso di muoversi, uscire da sé, diventare stranieri a se stessi, introdurre l’alterità dov’era il regno della identità e, qua, trovare la pace.
‘Qui e ora: nel tempo e nello spazio. Chi sono? Dove sono? Dove vado? Per quanto?
Domande per un dialogo e un conflitto: alla filosofia, sfera della conoscenza; alla scienza, sfera dei fatti accertati; alla religione, l’intera sfera delle convinzioni morali, come se il mondo fosse diviso in tre. Alla base l’eterna dialettica tra ‘so e non so’, e in più la lacerazione dell’unità, o dell’insieme, la negligenza della visione insiemistica che attribuisce ai componenti nuove proprietà. L’insieme di punti fa la lunghezza di una retta: proprietà che il punto non ha. L’insieme di rette fa un una figura: una superficie proprietà che la retta non ha, e l’insieme di superfici fa il volume, proprietà che la superficie non ha.
Un conto è ruotare un punto luminoso e definire gli effetti ottici, altro passare al cerchio.Un conto dividere e misurare la terra, invasa dal Nilo, o fra il Tigre e l’Eufrate, altro pensare triangolo, quadrato, trapezio. Un conto lasciare Ur (Gn, 12,1), andarsene dalla propria terra, dalla parentela, dalla casa di tuo padre, nel deserto, verso la terra che ti mostrerò, altro è trascendere l’ambiente, con fede.
Vuoi il labirinto della vita? È la strada di Qohèlèt: laico, impegnato a scalare la vita e superare se stesso nella tristezza dell’inquieta solitudine, sotto il peso del vuoto, nel timore del nulla. Vuoi continuare per la tua strada ? Chi non ha visto la strada al sorgere del giorno, fra due filari d’alberi, fresca, viva, non sa che cosa sia la speranza. Questi i due poli.
2. CHI SIAMO, ALLORA?
2 Risposte:
A) un corpo celeste che viaggia nel cosmo E’ banale e, per me che osservo, persino opprimente trasportare con me stesso, ovunque vada, il centro del paesaggio che attraverso, il centro di un cerchio infinito, che non esiste, come osserva Empedocle, proprio perché infinito, o che suggerisce l’ipotesi geocentrica di Tolomeo. Posso supporre che questa convergenza di linee sia non solo visuale, cioè geocentrica, ma antropocentrica, anzi strutturale, antropomorfica (Chiesa cattolica), e mi faccia ‘uomo’, centro di costruzione, non più sperduto nella solitudine del cosmo, ma inserito nell’uni-verso con volontà di ‘vivere universale’, tendente all’UNO. Tutto converge e si ‘ominizza’ in me, mondo nel mondo, dove nulla è reale finché non lo provo. Sempre un essere che viaggia nel cosmo, anche per Copernico (De revolutione orbium coelestium 1543). In senso lato un ‘Principio antropico’
B) un essere che evolve. Per Darwin (L’origine della specie, 1859), eludendo il principio, c’è un processo generale definito evoluzione, la cellula cambia, la specie cambia, vale anche quando ha preso la forma dell’uomo; gli toglie l’illusione che la natura e l’universo siano stati creati per lui e che il suo scopo sia rispecchiato nell’ordine del cosmo. Per Teilhard de Chardin (Le Phénomèn human, 1930), l’amletico dubbio: Esseri umani chiamati a fare un’esperienza divina? Esseri divini chiamati a fare un’esperienza umana? Concezione volta alla conclusione che l’evoluzione dell’universo va verso una perfezione crescente e che in linea di massima, partendo da questi presupposti, è l’unico modo per una cosmologia. Per John Barrow (The Anthropic Cosmological Pinciple, 1986), il nuovo principio antropico, che precede la cellula e, affrontando il principio, risale al nucleo del carbonio. Irrinunciabile punto di riferimento al problema cosmologico, ineludibile per le straordinarie coincidenze nella forma delle leggi fisiche e dei valori delle costanti di natura, compatibili con la nostra esistenza come osservatori, nel senso di dimostrare che tali osservazioni sono proprietà necessarie per dimostrare che l’universo è osservabile. Per Giovanni Paolo II (1996), riaffermando il principio creazionista, all’uomo è stata infusa l’anima intelligente e l’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso.
La parola intelligenza ripone tutto sul tappeto, rompe il cerchio e chiama in causa non il fenomeno evolutivo della cellula, manifestazione dell’evoluzione, ma il principio evolutivo della cellula, il perché la cellula evolva: perché la prima, perché la seconda, perché un insieme per fare un fiore, un frutto, un albero; un insieme di api, uccelli, acqua, sole, luce e notte, per fare l’ambiente. Principio, che vale sia per il prima sia per il dopo. La vita!
3. SIAMO INTELLIGENZA
2 Risposte
A) per osservare l’universo (secondo il principio Antropico) “Il problema centrale della scienza e dell’epistemologia è decidere quali postulati assumere come fondamentali. I grandi filosofi idealisti hanno sempre considerato la Mente come prioritaria dal punto di vista logico, e anche i filosofi materialisti assumono che le proprietà innate della materia siano tali da permettere, o addirittura implicare, l’esistenza di un’intelligenza che la contempli. Tali proprietà sarebbero, in altre parole, necessarie o sufficienti per la vita”. (John D. Barrow, e Frank J. Tipler, Il principio antropico, Adelphi, 2002). Questa possibilità indusse Brandon Carter ad archiviare il principio geocentrico di Tolomeo, a limitare il principio eliocentrico di Copernico, e a sostituirvi il principio antropico, secondo il quale la nostra posizione nell’universo è necessariamente privilegiata, compatibile cioè con la qualità di osservatori. Se, ad esempio, parliamo delle dimensioni dell’universo, non possiamo non pensare che la nostra esistenza agisca da selettore nella valutazione delle proprietà osservate. Le moderne osservazioni astronomiche hanno rivelato che l’universo visibile si estende per 15 miliardi di anni luce. Il dato ha fatto nascere vaghe congetture sulla sua struttura, sul suo significato, sul suo scopo ultimo.
L’universo per raggiungere quest’espansione ha avuto bisogno di 15 miliardi di anni, cioè abbastanza tempo per produrre i costituenti degli esseri viventi. In un universo sensibilmente più piccolo non ci sarebbero astronomi. Noi siamo, di fatto, una forma di vita intelligente basata sul carbonio che si è sviluppata spontaneamente su un pianeta di tipo terrestre attorno ad una stella di tipo spettrale G2, in un ciclo di tempo sconfinato: ogni osservazione da noi compiuta è necessariamente subordinata a questo dato fondamentale: una forma di vita, sorta spontaneamente che può soltanto osservare un universo vecchio miliardi di anni. Quindi nel tentativo di trarre conclusioni sulla natura dell’universo, è necessario essere consapevoli degli effetti conseguenti alla nostra esistenza come Homo sapiens, in un universo che per mezzo di lui osserva se stesso . Bisogna però considerare anche i limiti di questa conoscenza logica.
Se, ad esempio, parliamo delle dimensioni dell’universo, non possiamo non pensare che la nostra esistenza agisca da selettore nella valutazione delle proprietà osservate. In un universo sensibilmente più piccolo non ci sarebbero astronomi. Se le intensità relative alle interazioni nucleare ed elettromagnetica fossero anche leggermente diverse da quelle osservate, non esisterebbero atomi di carbonio, e l’evoluzione di osservatori umani non sarebbe stata possibile. Se il rapporto tra il numero totale di fotoni e protoni superasse di poco i valori misurati, le condizioni cosmiche non consentirebbero la nascita della vita basata sul carbonio. L’universo osservabile è una grandezza ‘variabile’ nel tempo, la Fisica del Novecento ha scoperto l’esistenza di proprietà invariantive che rendono inevitabile la definizione dell’ordine di grandezza e della struttura di quasi tutti i suoi componenti. Le prime indagini sui vincoli imposti alle costanti dai prerequisiti della nostra forma di vita fornirono risultati sorprendenti. Furono trovate concordanze, impensabili, tra numeri grandissimi e apparentemente indipendenti. Per ottenere un simile effetto di autoselezione l’universo deve essere tale da ammettere, a qualche stadio del suo sviluppo, al suo interno, anche l’evoluzione di osservatori. Per quanto la differenza sia minima, il trascendersi contagia il tempo lineare, trascinando nel presente il passato e il futuro; diventa il luogo della presa di coscienza, dell’emergere dell’uomo evoluto, mediatore fra il mondo che si dà e il mondo cui aspira la sua stessa interiorità, e trascendersi, andare al di là dell’uomo, del semplice essere sé.
B) per leggere dentro le cose e comunicare (secondo il principio Atmico). È la materia che prende coscienza, che legge dentro le cose e comunica. È l’intuizione di ciò che si nasconde dietro le vibrazioni comunicate dalle cose; è l’intelligenza di discernere ciò che si può addizionare, togliere, rifiutare, al sé, a me, nella finalistica di crescere che riafferma, con particolare veemenza, il processo e la problematica della ‘comunicazione’ riproponendo il senso di unione per vivere, e di protezione del contenuto per garantirsi il processo di scambio. È lo schema della cellula che per ‘crescere’, si dimensiona, si moltiplica, si specializza, rifiuta, accoglie…, dialogando con l’ambiente. Il suo crescere fa l’uomo, la cui legge rimane il crescere comunicando. L’uomo non può evolvere da uno schematico ‘comando’, da un ordine cui rispondere soltanto con un comportamento di ossequio e di sudditanza. L’uomo cresce per apprendimento attraverso il processo di selezione, scelta, accettazione o rifiuto, differenziazione interna (cellula, tessuti, organi, sistemi), o esterna (forma, colore, lingua, scrittura…). L’abbiamo riprodotto nel calcolatore: mentre registra, organizza la realtà registrata in armonia con il suo programma (il Sé), costruisce i linguaggi della comunicazione, elementi costituivi dei ‘mezzi’ che trattengono il pensiero, l’idea del Sé. Per vivere ‘non è possibile non comunicare’, (‘con’ munus = insieme per un servizio, dentro un munus per un servizio; la pace, ad esempio); (‘in-moenia’, ‘immune’, protetto, difeso, tra le mura). I due sensi si rifanno al nostro bisogno di sopravvivenza: impossibile senza un compito, debolissima senza una protezione.
È accaduto ad intere specie animali, scomparse per mancanza di spazio vitale. È accaduto e può accadere ad intere comunità. Ai Vichinghi tagliati dalla comunicazione con i confinanti (D.Howart Pattuglia in slitta). Agli Ebrei nei lager privi della capacità di resistere ad un ambiente ostile (P.Levi Se questo è un uomo). Agli uomini del regno di Nemrod, il cacciatore, nel paese di Sennar (Genesi 10) quando si tagliarono fuori con la torre del distacco, perché si è fuori quando si tenta di separarsi dalla condizione umana, fuori quando si vuole ripetere il demiurgo in se stessi, fuori quando si nutre un pensiero unico e si vuole parlare una lingua diversa, per distaccarsi ed essere soli, gli unici a… Già solo per comunicare ad un altro quello che sento di me, dicendo ‘io sono’…, quel sono racchiude una radicale concezione della vita. Secondo Eraclito, e poi ripetuto da Hegel, la vita va intesa quale processo per un dialogo tra noi e gli altri, tra le cose e noi, che nella loro realtà sono sostanza da vivere, impronta del nostro essere, oggetto di dialogo con sostanza di vita. La vita è dialogo (Holderlin). Sviluppa i convincimeti, sollecita la persuasione e ne fa categorie al convivio, annebbiando quella del dominio. Intelligenza è dunque vedere al di là del come le cose si manifestano. ‘Vedere’, significa essere di più, unirsi a…, perché oggetto e soggetto si sposano, si mutuano nell’atto della conoscenza, si uniscono, saldati dall’energia che si manifesta quando grido ‘ho capito’, quando passo dall’ignoranza alla conoscenza. Con l’unione cresce la dimensione, per allargamento di visione ed anche per crescita di coscienza. Lo colgo quando mi confronto con la perfezione di un animale, che pur mi batte nella competizione dei sensi, come conferma l’aquila per la vista, il lupo per il fiuto e l’averla per la precisione nell’uncinare la preda. La supremazia del mio essere pensante non la misuro nella forza di penetrare la carne ma nel potere di accoppiare lo spirito e le cose, e nel loro essere predare la sintesi della verità. In chiave ottica questo meccanismo di crescita mi pone inevitabilmente come centro di prospettiva.
4 PER ESSERE
2 Risposte
A) “Codificatori del cosmo domando la curiosità” (secondo il principio Antropico) È nota a tutti l’esperienza di Mosè sul monte Oreb, quando portò il gregge del suocero Ietro oltre il deserto e arrivò al monte di Dio dove incontrò il roveto ardente. Sono note anche le parole: “Togli i calzari, perché questo è un luogo santo”. Ed è nota pure la rivelazione del nome di Dio nel tetragramma IHVH : “IO SONO COLUI CHE SONO”, l’Essere; anzi “ Èhiè asher èhiè ”, ‘IO SARÒ COLUI CHE SARÒ’, il Divenire. Se leggiamo il fatto, descritto con più particolari nel libro dell’Esodo, al capitolo terzo, troviamo materia di riflessione su quel fuoco: “Fenomeno stupendo”, scrive Mosè, “Il roveto brucia, ma il roveto non è divorato dal fuoco… Perché mai il roveto non brucia?” La stessa domanda che, ancor prima, incalza il fisico: “Perché brucia?”, il perché con la sua insaziabile curiosità, davanti a ciò che è oscuro, contrario all’esprimibile. La prima parola che tenta la spiegazione: ‘Fenomeno’: apparenza, secondo l’etimo greco, portata dai sensi che rimandano in codice i fatti, trasformati in messaggi di facciata. La seconda è: ‘stupendo!’: la voce della meraviglia, o dello stupore, quando l’emozione, in ciò che vede, coglie aspetti belli ma arcani, non argomentabili. La terza aggiunge: ‘Il roveto brucia, ma il roveto non è divorato dal fuoco’: arcano, chiuso e difeso come l’arca. L’episodio dunque abbina tre messaggi: dai sensi, il fuoco, il roveto; dalla memoria, il fuoco che brucia e divora; dall’ interiore, stupendo,categoria del fuoco che non brucia. Mosè ci dà una lezione, vincolata al mondo fisico, la strumentazione dei sensi; al mondo mentale, la costruzione del ricordo; al mondo emotivo, il vissuto del cuore. Ci porta al limite, alla barriera dell’umano, faccia faccia con l’insaziabile curiosità: ‘Perché il roveto non brucia?’, insoddisfatta quanto l’opposta. L’interrogativo che manifesta l’intenzione di andare oltre al messaggio dei sensi, di entrare con la capacità dell’intelletto nelle viscere del fenomeno e soddisfare la volontà di coerenza del razionale, per una risposta che non è mai ultima. So che vivendo nel tempo dovrò cambiare ottica nell’osservare e nel vivere il mondo. Il tempo mette dei vincoli e impone alternative. Se desidero il ‘pane’, ho due diverse risposte. Nel pensiero il pane ‘è’; nel tempo, invece, il pane ‘diventa’. Nell’immutabilità dell’essere, il ‘pane’ è perenne, e toglie la fame per sempre. Nell’urgenza del divenire attraversa il momento della semina, spigherà, sarà mietuto e trebbiato, diventerà farina, impasto e, saltando la cottura e il calore di tutte le mani che trattarono il suo manifestarsi, il pane. Se mettessi tutto in coerenza con i mesi e le stagioni allungherei di molto i suoi tempi. Secondo le tappe reali, il pane avrebbe la sua presenza sulla mensa dopo nove mesi dal mio desiderio, in coda a giorni e giorni di vicissitudini dal mio bisogno: composto/scomposto/ricomposto, con forma/senza forma, luce/buio, freddo/caldo, … Solo un processo di reversibilità può ritornare il pane a spiga, la spiga a seme, il seme all’infinitamente piccolo, nel suo essere senza forma. Ma nel mondo del divenire, questa reversibilità non è concessa, perché il tempo è freccia, mentre l’ ‘essere’ è senza tempo. Nell’eternità c’è l’essere; nel tempo il divenire. Lo posso attuare nel ‘film’, semplice immagine d’immagini, idolo d’altri idoli, mascherati nella pellicola, e proiettarlo in sala, ambiente giusto per trasformarlo, vederlo, sentirlo, viverlo. Nella ‘pizza’, il film, tutto intero, è l’istante. Nella ‘sala’, il film è nel tempo, istante dopo istante, ha il divenire con tutte le sue implicazioni. Produce anche la sensazione che i tempi sono alterati secondo l’intensità dei sentimenti che accompagnano la visione: la fame li dilata, la gioia o la sofferenza ne scambiano la durata. Il film mette dunque in gioco l’acutezza di chi vive coscientemente la propria vita, usando un tempo giusto ad ogni faccenda.
B) educatori del SÈ (secondo il principio Atmico) Lezione completa, quella di Mosè, utile al comportamento dell’uomo quando vive e giudica i fatti del mondo. Deve distinguere ciò che i sensi dicono da ciò che la mente tende a spiegare; separare ciò che l’intelletto e la ragione definiscono come proprietà delle cose, e trascendere il fatto fisico su cui lo spirito soffia e, quando passa nelle loro caratteristiche, penetra l’arcano di ciò che le cose ‘sono’. Quando arriva su quella soglia, l’uomo che fa domande bussa alla porta dell’ESSERE. La misteriosa sostanza delle cose, evanescente, impalpabile, immutabile, irraggiungibile; l’insieme di particelle irriconoscibili che costituiscono il tessuto del mondo ‘fenomenico’. È la soglia dell’ESSERE, il punto dove, tra curiosità (?) e stupore (!), la domanda non si queta. La curiosità, volendo ancora esplorare e mettere alla prova i sensi in dotazione, invita a cercare, a ripetere la fatica del conoscere il mondo, dove io sono uno che ha occhi, orecchie, naso, gusto e tatto. per esplorare e stupire, insieme con la saggezza, i passaggi della vita interiore, i percorsi scelti in condizione di assoluta libertà. Se sto di qua dalla soglia, resto nel mondo fenomenico, nella fisicità delle cose, assillante di domande, avara di risposte e posso trovarmi fra i tanti che si arrendono delusi o tra i pochi che proseguono curiosi, ansiosi di incrociare il sentiero della verità. Al di qua l’incapacità di accettare l’oscuro e il rifiuto di non sapere. Di qua, andare, spostarsi mutando luogo e orizzonte, come se il luogo perduto fosse perduto per sempre. Se guardo al di là, c’è lo stupore per ciò che si presenta, come se il mondo fosse l’inatteso, l’insperato, il non sperimentato che ti viene incontro, vestito di nuovo. Una via, un cammino che non conduce necessariamente alla costruzione di castelli di pensiero, ma alla purificazione del cuore, alla sublimazione dei sentimenti. Al di là il luogo dove abita l’IO SONO COLUI CHE SONO. Dove il fuoco brucia, ma non brucia se stesso; la fame tormenta, ma non sfama se stessa; il pane toglie la fame, ma non mangia se stesso; l’acqua toglie la sete ma non disseta se stessa. Là si è. Immutabilmente, eternamente, senza limiti; amplificati nell’altro, immersi nel tutto. Là non c’è più l’io che vuole, ma l’IO che accetta, non più l’io che mette i calzari ma l‘IO che li toglie, non più l’io che subisce ma l’IO che accoglie con accettazione creativa, non più l’io che esiste staccato in sé, ma l’IO che vive con l’altro, lo stesso di me. L’esperienza fatta da Mosè, il formatore di un popolo in quarant’anni di pellegrinaggio simbolico nel deserto, sulle strade segnate dal cielo, il legislatore della comunità sulle tracce dello spirito, porta a varcare la soglia e apre al regno dell’Essere dove tu non sei chi ha gli occhi ma colui che vede, non chi ha orecchi ma colui che ode, non chi tocca ma colui che sente. Non sei nel mondo di chi ha, ma nel mondo di chi è; nel mondo sostanziale dell’Essere, dove io e l’altro siamo una cosa sola, dove io e il pane, io e l’acqua, io e il fuoco siamo una cosa sola, come la fame, la sete, il calore, vibrati in tutto il corpo, e in tutto il corpo sentiti e sofferti quando si manifestano. Una situazione olistica di non dualità, ma di fusione, di uni-verso, e di presenza in tutti i punti che rendi sensibili. Porta nella Casa della luce: ‘ambiente’ per vedere il volto delle cose, stato per afferrare il mistero del suo comportamento, e il motivo per cui mi lascia cogliere alcune cose ed altre no, e il perché mi consenta di conoscere in parte senza sapere qual è la parte che osservo (1.a Cor. 13,12). Se, come fu scritto ai fedeli di Corinto, tutto è ricamo, quale delle due facce vengo sollecitato a guardare? Quanto mi può essere gradita questa se non conosco l’altra? Quale la realtà? Io sono la verità! La luce è un oggetto da vedere? Ma chi m’illumina la luce perché la possa vedere? A me pare che la luce non si lasci discernere che per se stessa. Entro nella casa della luce. È fatta di colori, di suoni, di profumi, di gusto, di palpabilità, di sentimenti. È come la colonna sonora di un film che, scorrendo, sintetizza in un solo moto ondoso, le voci, i colori, la plasticità dei personaggi che lo compongono e le forme dell’evento. Il moto ondoso costruisce il messaggio, come la parola costruisce il pensiero, che da spirituale aereo impalpabile com’è, lo materializza in suono, vibrazione, percepibilità. Il principio antropico toglie l’uomo dall’insignificante ruolo di granello di polvere, su un irrilevante pianeta, in un’irrilevante galassia, in una regione qualsiasi nell’immensità dello spazio, come visto da N. Copernico, e lo candida a spettatore preparato dalla natura, maestra in un corso di 15 miliardi di anni, in una scuola estesa 15 miliardi di anni luce. SSS. Baba (Discorso del 28. 10. 2003), parte dal ‘munus’ di osservatore, e lo candida a spingere la mente nel complesso meccanismo dell’IO, anzi lo nobilita ancora di più: da osservatore lo candida a ‘educatore’, colui che trae da Sé il disegno del regno, volgendo lo sguardo dentro a cogliere la finalistica dell’ uni-verso. E ammonisce: “È molto difficile comprendere i concetti spirituali, ma vanno inseguiti con grande determinazione. È più facile comprendere la natura della mente e del corpo che quella dell’Atma (lo spirito). L’Atma non ha forma, è pura consapevolezza. I più sanno arrivare allo stadio del conscio, altri sanno raggiungere lo stadio successivo della coscienza. L’uomo, una volta capito il conscio, potrà capire la co-scienza (il sapere comune), e successivamente raggiungere la consapevolezza (il sapere interiore, mio, personale)…. Provate a capire la natura del corpo fisico, consiste di vari organi. In tutti questi organi voi troverete immanente il Principio dell’«Io». Ecco perché dite questo è il mio corpo, la mia mano, il mio dito, ecc. Se continuate ad indagare circa la natura del corpo, capirete che lo stesso Principio dell’«Io» è presente in tutte le membra. È inutile rincorrere gli oggetti apparenti; comprendere il Principio dell’Atma, equivale a comprendere la realtà immanente. Se continuate nella ricerca su “Chi sono Io”, alla fine comprenderete la Verità; il Principio dell’Io non è altro che il Principio dell’Atma. Molte persone danno nomi diversi al Principio dell’Atma, ma esso non ha alcun nome né forma; è di là da tutti i nomi e di tutte le forme, è trascendente. Molti danno nomi diversi ai sentimenti, ma anche questi hanno un valore trascendente. Che cos’è Prema (Amore)? Senza il principio Atmico non lo sapete. Che cos’è l’oscurità? C’è qualcuno che l’ha vista? Uno può dire: basta chiudere gli occhi. Che cosa vedete? La risposta corretta è: vedo il buio. Ma non è l’oscurità! Ciò significa che si è in grado di conoscere l’oscurità; altrimenti, come potremmo affermare che è oscurità? Pertanto, in questo mondo è accertato che per tutto esiste una base. Se presento una rosa, voi la riconoscete; ma il fiore con questo nome non è la rosa. Voi semplicemente ripetete un nome attribuito ad un fiore che chiamate rosa. Continuate a ripetere delle parole senza comprendere la Verità che sta alla loro base”. Dobbiamo aprire la nostra visione interiore alla ‘rosa’ e meditare sul Principio dell’Atma per il quale la ‘rosa è rosa, una e sempre’. Una rosa è un oggetto. Un conto è vedere il seme e aspettare il suo sviluppo, un conto è vedere, nel seme, la rosa, senza dover aspettare le fasi fisiche del suo ciclo di manifestazione. La rosa che ora vedo nei suoi colori, sento nel suo profumo, percepisco nelle sue spine, non è la rosa nella sua realtà, è una rosa che, come tante, sfiorisce. La vera rosa, che non appassisce e non degrada, è in me, una cosa sola con me, ora e sempre. Vederla in me è possederla, essere rosa con lei. Così è di tutto. Sono tutto ciò che vedo. Ecco il concetto espresso da un poeta che sente l’aspetto unitario e olistico dell’universo, che è passato dalle innocenti novità rumorose alla conquista di una saggia compostezza nel linguaggio essenziale di un’intensa riflessione sull’universo: “Dal centro del mio essere, una voce infinita disse queste cose (queste cose, non queste parole) che sono la mia povera traduzione temporale di una sola parola” (Jorge Luis Borges, L’altro, lo stesso; Adelphi). “Voi sapete indicare i nomi di vari oggetti esistenti nel mondo, ma non fate alcun sforzo per capire la vera natura di questi oggetti. L’intero mondo è pieno di oggetti materiali. Questo è un mondo materiale, l’intelletto afferra ciò che è al di là dei sensi, al di fuori della loro portata. È il Quello che trascende e riassume la realtà del Principio Fondamentale presente in ogni essere umano, in ogni essere vivente, “Tu sei Quello” (come già scrisse Nisargadatta). Tu sei in ogni ‘io’ che le cose, gli astri, gli animali, le piante, i fiori… userebbero per dire ‘sè’, qualora avessero il nostro linguaggio. Se continuate nella ricerca ‘Chi sono Io’, alla fine comprenderete la Verità che il Principio dell’Io non è altro che il Principio dell’Atma. Il potere della Consapevolezza immanente nell’uomo non può essere trovato da nessun’altra parte… Consapevolezza è riconoscere il Principio atmico, radice della conoscenza, origine interiore dei poteri che fanno funzionare il nostro corpo, e il cosmo. Se un uomo capisce il senso della parola ‘io’, allora è in grado di capire tutto il resto”. (idem). Da questo pensiero illuminante scende il compito dell’uomo: essere l’educatore dell’IO, nel senso di colui che lo deve tirar fuori dal profondo, dargli la luce, manifestarlo, farlo vedere.
Se l’IO è DIO [Non sapevate che siete Dei (Gv. 10.34)], l’essenza divina è in noi e, a noi, il compito di far venire il suo regno come ripete Luca nella preghiera che Gesù insegnò (Lc, 11,2). Il regno da costruire da parte dell’uomo ha come base i cinque valori umani predicati da SSS Baba: Verità, Retta azione, Pace, Amore, Non violenza. La PACE è al centro con due braccia, una tesa alla Verità e alla Rettitudine, l’altra all’Amore e alla Non violenza. Compito dell’uomo allargare queste braccia e, facendo la croce, l’infinito sottratto allo sguardo, unire quello che è sopra e quello che è sotto.
5 ESSERE PACE
2 Risposte
A) osservando la materia (secondo il principio Antropico) Nel suo stato elementare, presa come inizio, è stoffa delle cose tangibili, nel suo fine è cosmo, sostanzialmente legato e prodigiosamente attivo. È un insieme particolare di fenomeni, e possiamo avanzare nella osservazione della materia classificandola sotto tre profili: pluralità, unità, energia.
Da qui l’insegnamento da estrarre per vivere la pace, costruendo il regno dei valori umani.
- vivere la pluralità. Gli atomi di Epicuro erano inerti e ‘non-tagliabili’, per definizione. I mondi piccoli e infimi di Pascal erano ancora divisibili. Noi abbiamo superato, in certezza e precisione, questo stadio di divinazione istintiva e geniale, spinta in modo illimitato nella frammentazione. In ogni passo verso la discesa, incontriamo dimensioni sempre più ridotte in cui tutto il mondo ancora si rinnova e stempera. Una pluralità armonica che vive unita: in pace. La scienza è servita solo ad acuire il nostro intelletto. Se, come osservatori, abbiamo raccolto queste proprietà non possiamo distruggerle. Tirar fuori questa lezione di pluralità armoniosa e pacifica, vuol dire scoprire e rispettare il regno che vive secondo la legge della pluralità. La pace non è la descrizione del mondo, la pace è ‘polifonia’, armonia di molti voci. La pace non è ammirare, fuori dal coro, è stare nel coro, parlare il linguaggio musicale del coro, accettare la pluralità; è trovare, scendendo nel piccolo, la crescente uguaglianza, andando verso quella struttura in cui ogni essere è privo di colore e forma, diverso da come si presenta nel piano fenomenico.
- vivere l’unità Quanto più polverizziamo la materia, tanto più lei si lascia vedere fondamentalmente unita. Sotto la sua forma sbriciolata, la più imperfetta dal punto vista fenomenico, ma la più semplice da osservare, l’insieme si traduce in una sorprendente unità di elementi. Molecole, atomi, elettroni, qualunque sia il loro ordine di grandezza e il loro nome, manifestano una perfetta identità di massa e di comportamento. Come se la stoffa di tutte le stoffe divenisse forma di sostanza, la veste inconsutile del Nazareno. Unità di omogeneità. Unità collettiva. Unità nella diversità. Per quanto circoscritto, il cuore di un atomo è coestensivo a qualunque altro atomo, almeno virtualmente. È il secondo volto della pace: non esiste una separazione tra materia e spirito, sono una cosa sola come lo sono i poli di una calamita. Non esiste una zona che li divida, come fosse giusto mettere da una parte il positivo, dall’altra il negativo. È una convenzione definirli, è arbitrario classificare ruoli disgiunti; la loro attività è manifestarsi uniti. La mano non ha cinque dita, ma è cinque dita, che, unite, hanno la proprietà comune di ‘prendere’. Noi siamo esseri che manifestano consapevolezza quando siamo uniti gli uni con gli altri per manifestare il Regno umano, il modo con cui l’uomo manifesta la sua socialità.
- vivere la energia che compatta. Per facilitare la comprensione di questa unità nella diversità, è sufficiente mettere la forza di avvio sotto la parola Energia, nome empirico che la Scienza le dà. È la terza faccia della materia. Democrito, precisando le idee del maestro Anassagora, afferma che gli atomi non possono essere descritti fisicamente, ma solo matematicamente. Hanno solo la caratteristica di occupare lo spazio vuoto entro il quale si muovono. Sono privi di colore, sapore… Solo lo spazio alto ha colore, sapore, odore. In pratica esistono atomi e spazio, vuoti. Nella fisica moderna parliamo di neutroni, protoni, elettroni, ecc…, ma non possiamo precisare alcuna caratteristica. Affermiamo soltanto che queste particelle non hanno nessuna caratteristica macroscopica riconoscibile nel mondo fenomenico, quali appunto il colore, l’odore, il sapore. Anzi le particelle sono più astratte di quelle di Democrito dato che di esse non si può nemmeno definire l’esistenza in un ‘punto’, ma solo una funzione di probabilità che una particella esista in un determinato punto. Un’idea fondamentale da acquisire ancora, e proveniente dal mondo greco, è dunque la nozione centrale d’ogni mutamento del mondo, è quella di energia, che sostituisce quella del fuoco presente nella concezione di Eraclito. L’energia è la sostanza di cui son fatte tutte le cose; energia è ciò che tutto muove. Energia è una sostanza, la cui somma totale non cambia e, potendo le particelle elementari essere effettivamente costituite da quella sostanza, l’energia è la causa fondamentale del cambiamento nel mondo. Nella filosofia di Democrito tutti gli atomi consistono della stessa sostanza, qualora la parola ‘sostanza’ si possa applicare in questo caso. Le particelle elementari della fisica moderna sono dotate di una massa nello stesso senso limitato in cui possiedono le altre proprietà. Poiché massa ed energia sono, secondo la teoria della relatività, concetti essenzialmente identici, possiamo dire che tutte le particelle elementari consistono di energia. Quindi ciò potrebbe essere interpretato come definizione dell’energia, è la sostanza prima del mondo, avente la proprietà essenziale, implicita nel termine ‘sostanza’, di conservarsi sotto ogni manifestazione. Perciò le concezioni della fisica moderna, per questo aspetto, coincidono con quelle di Eraclito, se il suo ‘fuoco’ lo si interpreta come ‘energia’. Energia, ‘ciò che muove’, può quindi essere chiamata la causa primaria di ogni mutamento, e può trasformarsi in materia, in calore, in luce. Anche la lotta fra gli opposti può avere riscontro, in Eraclito, nella lotta fra due diverse forme di energia (Positiva/Negativa, Polifonica/Polemica). Noi le sentiamo combinarsi perfettamente nelle nostre azioni concrete. Il motore funziona con queste due forze e non siamo in grado di scoprire il gioco, che ci sembra contraddittorio. La punta che legge il solco musicale della nostra vita è il senso acuto che portiamo dentro di noi della dipendenza e, contemporaneamente, della indipendenza della nostra attività in rapporto alle potenze della materia. ‘Dipendenza’: ‘per pensare, noi dobbiamo mangiare’. Quest’idea così seducente, e lapalissiana, che sembra manifestare una trasformazione diretta tra le due energie, una dall’altra, deve essere abbandonata. Altrettanto chiaramente, si manifesta la loro ‘indipendenza’.
Come dalle stesse lettere dell’alfabeto (amor, ramo, orma, roma, mora) possono uscire incoerenza e poesia, così le stesse calorie possono alimentare indifferentemente valori spirituali e materiali. Questa sproporzione fa rifiutare l’idea troppo semplice di ‘cambiamento di forma’, ma di trovare nella trasformazione diretta l’equivalente, caso mai, della volontà o del pensiero. Tra dentro e fuori dobbiamo riconoscere, come nella calamita, una unità di base in cui l’energia si divide in due componenti distinte. Una energia centripeta tangenziale che, nell’universo, rende un elemento solidale con tutti gli elementi dello stesso ordine, della stessa complessità, della stessa centralità, (massima per i piccolissimi valori radiali come l’atomo). Una energia centrifuga radiale che spinge l’elemento nella direzione di uno stato sempre più complesso e centrato (massima per i grandi valori radiali come nel caso dei viventi, dell’uomo ad esempio, o degli organismi sociali). Contrariamente all’apparenza la pace trova, nella materia, espressione e valore, è compartecipazione, equilibrio; non è atarassia, l’equivalente di lasciatemi in pace, come tanti la pensano e la vogliono. La pace è in gioco con l’energia tangenziale che aumenta per la tensione fra gli elementi in conflitto. La pace è in gioco con l’energia radiale che per un valore anche grande d’aggiustamento nella complessità richiede un valore piccolissimo di lavoro per attuarlo. Non c’è chi non veda in questo parallelismo il conflitto delle parti sociali nel contendersi i fuochi dell’ellisse per pilotare l’orbita del vivere sociale. Le distanze di un punto dai due fuochi è costante, l’investimento e il consumo sono i fuochi la cui somma costante genera l’equilibrio, l’armonia, la pace. Investimento e consumo rappresentano l’uso costante della ricchezza prodotta dal sistema; la pace, orbita dei due fuochi, è la risultante che l’umanità si attende.
B) ascoltando lo spirito (secondo il principio Atmico) Mi sono chiesto più volte perché Dio abbia voluto farsi una casa quaggiù, anzi tante case, per un suo regno e ci abbia pure insegnato a pregare perché ‘venga’. Si è fatta una prima casa, trasparente, la sua umanità, ma la seconda casa dove tanti possono trovare la loro partecipazione in libertà, fraternità, uguaglianza, oggi non la vedo, a causa delle cose che vivo nella mia quotidianità, vestita di profano. Ha forse pensato alla Chiesa, il luogo dove ognuno porta il suo contributo di pena, di umanità poco chiara, di miseria penosa, che sale a Dio poco a poco, per rifarsi con il suo stesso aiuto? È un annidarsi nello Stato dei cittadini, che ha una stabilità, una continuità, una rappresentanza, per inserirsi come respiro, a sostegno del ‘divenire dello spirito’, riconoscendone la libertà? Oppure questo regno non è un luogo ma un modo di essere, un mistero sfuggente che, ad un tempo, è passato e futuro, dato e promesso, venuto e ancora da venire? Non so se questi regni di speranza prendano il volto dell’utopia perché non ci può essere un regno di Dio senza l’uomo, e un regno dell’uomo senza Dio. Ho letto di una ‘sconfitta di Dio’ come se il suo regno, per il suo grande ritardo, avesse deluso l’attesa degli uomini. Ho sentito di un ‘tramonto della politica’ come se il regno dell’uomo, pensato per la giustizia, per il pane e per la pace, dopo aver avuto un momento di socialità auspicata, sia anche lui fallito. È comunque certo che, all’appello, manca l’uomo, l’uomo intero senza alienazioni.
È certo che si prospetta un regno non ancora presente ma che sta per venire. Un ‘divenire’, una tensione, in considerazione della storia umana come si è svolta fin qui e come vorrebbe che si svolgesse da qui in avanti. I movimenti che hanno impiantato questo futuro dell’uomo, hanno molto considerato gli aspetti organizzativi delle forze da mettere in campo, che fossero in grado di raggiungere questo obiettivo. Hanno però dimenticato ciò che accade nell’uomo interiore, che è altrettanto importante, perché il regno cresce, matura, si apre e sempre di più si libera, se l’organizzazione delle grandi forze storiche incontra questa interiorità umana. Solo lì scatta qualcosa in più di quello che fin qui c’è stato. La sola costruzione di forme sociali o politiche, magari alternative a quelle passate, proprio perché mancante di quella forza interiore, rischia di cadere perché ripete ancora i vizi delle vecchie forme. Questo va nel senso del discorso (Lc 17, 21): “Il regno di Dio è dentro di voi” , che da altri è stato tradotto il regno di Dio è in mezzo a voi, con implicazioni profondamente equivoche. Da un lato c’è l’uomo interiore, dall’altro un’oggettività sociale, vistosa, in cui la politica senza profezia è destinata a cadere, a uscire in condizioni fallimentari. La formula vuole sostituire al termine ‘utopia’, il termine ‘profezia’, accogliendo una lezione storica che proprio questo secolo ci ha dato. Le prospettive utopiche possono fallire per mancanza di spirito profetico, come di fatto sono fallite. Dall’altro lato una profonda lacerazione attraversa i cristiani già da molto tempo: gli uni credono in Dio ma non nel suo regno, cioè non credono alla giustizia e alla pace, qui nel mondo; gli altri credono nel regno, cioè alla giustizia e alla pace, ma non in Dio. Forse che il mondo, in questo contrasto, non finisce di perire?
È forse un mondo che continua così, fatto di eterno presente. Il regno, avvertito come imminente, non è più nella nostra mente, nella nostra coscienza, nell’uomo interiore. Bisogna allora certificare l’allentamento, la morte di questa attesa? La venuta del regno, promesso ma lontano, non è la sconfitta di Dio. A renderlo lontano è la lentezza dell’uomo nel farlo apparire, perché il regno di Dio deve uscire dal cuore di ognuno. La giustizia, la pace, la libertà, l’amore, la fratellanza sono connotazioni del regno dell’uomo, ma in realtà sono presenti nel suo cuore, si manifestano come la fame, come la sete, come tutti i bisogni urgenti della vita. Il regno di Dio lo esprimiamo nel bello e nel buono che si legge nel mondo; lo sentiamo nel cuore dell’uomo quando prende i nomi di giustizia, verità, pace, fraternità, uguaglianza. Il loro bello e il loro buono entra nel mondo attraverso il filtro della libertà dell’uomo. Nel vocabolario del Genesi le parole di Dio usate per tradurre il regno di Dio sono ‘bello’, ‘buono’… ed oggi ancora lo è. Se queste parole diventano giustizia, verità, pace, fraternità, uguaglianza: il bello, il buono di Dio è ancora lì. Ogni parola mette l’accento sulle parti che hanno attirato l’attenzione dell’uomo, e l’interesse, in quella pagina da lui vissuta e da lui scritta per farne memoria. Le parole sono una traccia, segnano il percorso. C’è qualcosa che è in cammino, ogni giorno. Domani può essere una barricata, perché l’uomo si spezza in due e si fa Caino e Abele senza sapere chi dei due interpreta, e il regno si allontana. Domani, ancora dopo, ci sono dei gemiti, c’è un’umanità che soffre e urla la voce di tanti come la piena di un fiume che irrompe con la forza travolgente del dolore, e il regno ancora rallenta. Con queste pagine alterne il tempo scrive il cammino dell’uomo che vede la menzogna ma crede nella verità, che vede la guerra ma crede nella pace, che vede il peccato ma crede nel perdono, che vede il mondo ma, in filigrana, legge il regno di Dio. Menzogna, guerra, peccato, mondo, sono ciò che ha fatto la vita dell’uomo libero, ma non sono l’ultima parola sulla sua vita; questa rimane racchiusa nelle promesse di Dio scritte dentro ognuno di noi. Pane, pace, giustizia, fraternità rispondono ai desideri più profondi, alle attese più vive nella coscienza di tutti quelli che aspirano alla volontà del regno. Se sarò capace di non odiare, il regno del secolo venturo sarà esordito da me. Il regno non è un dono che altri possano darci. Il regno siamo noi, e lo siamo quando tiriamo fuori (educhiamo) dalla nostra complessità ciò che dentro unisce. È l’impegno individuale quando recitiamo la preghiera che santifica il suo nome, promette di fare la sua volontà, il mio pane lo fa ‘nostro’, perdona le offese e si fa uno con Dio, chiamandolo padre; è il Padre nostro, la preghiera che ogni cristiano, dall’altare al portale, dal pubblicano al fariseo, in pubblico o nel secreto, dal principio alla fine, ripete consultando la sua coscienza. Riportato su uno striscione di carta, per intitolarlo figurativamente, ‘La Pace’, su quel supporto è perfetta e senza equivoci. Ma limitandoci a osservare lo striscione come osservatori esterni, (equivalente di atarassia), non la comprenderemo mai nella sua essenza. Dobbiamo penetrare lo striscione e l’immagine. Penetrare significa che dobbiamo essere la nuvola, essere la luce del sole, essere il taglialegna, essere cartiera, cartoleria, cartella, editore, portatore. Penetrandolo ed essendo tutte le cose che lo compongono, la nostra comprensione della figura riportata, sarà perfetta. Questa è la pace. Essere pace è inter-essere; impegna a diventare operatori e facitori di pace, produrre l’energia necessaria all’uomo perché manifesti il regno nascosto nel suo cuore.
IO sono pace! IO sono OM, il respiro dell’universo!