Progetto della Fondazione il Mandir della Pace ’’Insegnare la pace’’

Progetto della Fondazione il Mandir della Pace’’‘’Insegnare la pace’’-Assisi 2006-Meeting ‘’L’Oriente incontra l’Occidente per una nuova civilta’ di Pace’’
Oggi, sempre di più, ci si è resi conto dell’estrema rilevanza degli ambienti formativi, per tutto ciò che supporterà e faciliterà la qualità di vita delle future generazioni. In un mondo globalizzato la “società della conoscenza” deve poter confluire armoniosamente nella “comunità umana della comprensione”, aumentando il livello della consapevolezza e della condivisione tra uomini. Solo dalla comprensione può discendere un’autentica cultura della pace. Su questo bisogna saper riflettere, in occasione della giornata mondiale per la pace, che non a caso apre le buone intenzioni del nuovo anno. Dall’umbria di Francesco e di Benedetto, di Chiara e di Rita, ma anche di Capitini e di Ubaldi, deve poter venire un modello di vita sociale costruito sul senso della pace e della giustizia. Tutti coloro che operano in ambienti formativi – quali sono essenzialmente le famiglie, le scuole ed i centri d’animazione -, sono pertanto chiamati ad assumere uno sguardo lungimirante, riflettendo sulla rilevanza che l’apprendimento etico-sociale acquista per una vera cultura della pace. Tutto ciò richiede il tener in debito conto la necessità d’impostare un’educazione che possa permettere la maturazione di tutto l’essere – sotto l’aspetto sia cognitivo che sociale ed emotivo – nonché un nuovo parametro culturale, basato contemporaneamente sul senso d’appartenenza e sul dialogo interculturale. Da qui, il particolare valore che assume il “clima scolastico” ed il suo grado di riflessività su tutto ciò che riguarda la vita sociale e i rapporti con l’ambiente, permettendo così l’assunzione d’atteggiamenti di rispetto e solidarietà. A tal fine, considerando che per essere autenticamente pacifici bisogna saper comprendere le necessità e le paure dell’altro da noi, del diverso culturalmente e del distante esistenzialmente, è indispensabile saper sviluppare una comprensione umana intersoggettiva. Questo, tuttavia, non è possibile se dal lato della vita non si cerca di star bene con se stessi, vivendo senza frustazioni e rancori, mentre dal lato della cultura si devono poter conoscere e considerare i percorsi e le vicissitudini degli altri cittadini, popoli ed etnie, per comprenderne ed accettarne la diversità. Questo il compito di una scuola di cultura, che non voglia produrre solo un riduttivo sapere, indice di una cultura scolastica, avulsa dalla vita e dal mondo. Attraverso il processo formativo scolastico ogni allievo deve poter aprire lo sguardo sulla realtà dell’esistenza, nella totalità dei suoi fattori, ponendo al centro la “comprensione umana” – così come la intende anche Edgar Morin – col sostenere la necessità di concepire e sentire la presenza degli altri esseri umani come soggetti. E’ pertanto trasversalmente che ciò può essere attuato, non relegando ad una particolare materia tale compito, anche se ci devono poter essere momenti ed esperienze forti, attraverso le quali poter ritrovare nelle varie discipline segmenti rilevanti di tale linea di pensiero. A questo serve un approccio transdisciplinare, che può partire dalla letteratura, dalla storia, dalla geografia o da altro, ma che in ogni caso sappia produrre opportunità di riflessione critica sulla diversità, per riconoscerne il valore, comprenderne le cause, rilevarne le condizioni culturali. Saper capire e saper risalire alle origini della diversità, è anche saper riconoscere la similarità, per incontrarsi magari a metà strada, accettando anche equi compromessi, come sostiene Amos Oz, con riferimento al conflitto tra palestinesi ed israeliani. Di questo devono sentirsi investiti, in quanto educatori, tutti gli insegnanti, considerando come a scuola, di là degli apprendimenti diretti di conoscenze, si apprendono atteggiamenti sociali ed etici, fondamentali per vivere in pace con se stessi e con gli altri. Oltre ai sensi culturali – quali quello estetico e quello critico -, vanno saputi sviluppare i sensi sociali – quali quello dell’appartenenza, dell’intercultura e della solidarietà. Da ciò le virtù dell’empatia, dell’autocontrollo e della capacità di gestione equilibrata dei conflitti, come anche Daniel Goleman c’invita a considerare. In ogni caso, basilare è
educare a decentrarsi ed a cercare di comprendere le ragioni altrui, per confrontarle con le proprie e trovare, poi, punti di rispetto e d’incontro. A questo deve puntare una scuola che intenda prefiggersi di educare alla pace, traendo anche spunto da personaggi storici e figure rappresentative della nostra civiltà, da Francesco d’Assisi a Martin Luther King, da Celestino V a Gandhi, ma anche per ritrovare il valore della pace in comunità ed in movimenti, per delineare modelli di riferimento e pregnanti testimonianze. Per non pensare che bastino lezioni d’informazione – spesso confluenti in forme mistificate d’indottrinamento, se pur ispirate da buone intenzioni – è necessario considerare che è sempre la persona che si forma e che apprende, con al centro il suo spirito e la sua anima. Non è ad una mente vuota che ci si riferisce, né ad un’emotività incontrollata: è sempre ad un centro di libertà e d’intenzionalità che ci si rivolge, tale che sia solo nella coscienza che si possa forgiare una vera cultura della pace, attraverso la consapevolezza, la comprensione, la condivisione e la cooperazione. Questa è la strada della pace – che presuppone necessariamente lo sviluppo economico e sociale, come indicava anche papa Giovanni XXIII -, affinché ci si possa formare un carattere interiormente pacifico, caratterizzato da un atteggiamento non-violento, capace di provare fiducia e amore, formandosi una totale apertura d’animo, come ci ha insegnato Aldo Capitini. Per questo l’apertura verso tutti va coltivata quotidianamente, ispirata dalla percezione e dalla convinzione che credere veramente in Dio significa viverlo come presenza di giustizia e atteggiamento d’amore infinito. Verso questa scuola di cultura si deve poter andare, permettendo di leggere la realtà di là dalle frammentazioni dei saperi e dai separatismi culturali, per produrre processi d’armonizzazione e di unificazione, come anche Pietro Ubaldi ci indica, da conquistare attraverso un processo d’espansione di coscienza collettiva, capace di fondare una “nuova etica internazionale”, basata sul principio evangelico della fratellanza e sulla nuova morale utilitaria per tutti, richiedendo onestà e comprensione reciproca, per non riprodurre conflittualità e separazione, generatrici inevitabilmente di nuovo dolore. A questa nuova etica internazionale si è riferito Benedetto XVI nel messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2006. La verità della pace, ispirata al “Vangelo della pace”, deve poter spronare i credenti in Cristo a “farsi testimoni convincenti del Dio che è inseparabilmente verità e amore, mettendosi al servizio della pace, in ampia collaborazione ecumenica e con le altre religioni, come pure con tutti gli uomini di buona volontà”, contrastando il nichilismo ed il fondamentalismo fanatico, per andare verso un progressivo disarmo. Ed è in tale prospettiva che l’O.N.U. deve diventare strumento efficace di promozione dei valori della giustizia, della solidarietà e della pace. Sì, la pace si può insegnare, ma non come semplice concetto da contrapporsi alla guerra. Si può insegnare come stile di vita e qualità etica basilare, per produrre benessere sociale e spirituale, per ampliare le dimensioni della creatività e della felicità, ma anche per permettere a tutti i popoli e tutte le culture di convivere in questo splendido pianeta, potendo goderne e condividerne i beni, per far sì che ogni bambino voglia crescere per realizzarsi nel cooperare con gli altri, nell’arricchirsi culturalmente e nel farsi compartecipe di tutto ciò che può migliorare le condizioni di vita, appassionandosi nell’impegnarsi e nel realizzare, abbellendo le città, armonizzando le relazioni tra persone, convivendo con tutti gli altri esseri viventi, in sintonia con l’ambiente. La pace creativa e produttiva deve poter rappresentare un orizzonte di senso valido per tutte le persone e per tutta l’umanità. Con questo convincimento e con questa intenzionalità vale la pena d’incamminarci ardentemente gioiosi, assumendoci il compito, nei nostri ambiti specifici, di farci pacifici promotori ed attestatori di pace.

Prof.GAETANO MOLLO- Presidente dei Corsi di laurea in Filosofia e Etica delle relazioni umane – Univ. di Perugia

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