Le piante sono organismi viventi -Neurobiologia vegetale di Stefano Mancuso

Di cosa si occupa precisamente la neurobiologia vegetale? O, meglio, esiste una definizione di neurobiologia vegetale? E come mai si può parlare di neurobiologia nelle piante?
Procediamo con ordine, partendo dalla definizione, affare, quest’ultimo, tutt’altro che semplice dato il gran numero di possibili campi della ricerca che afferiscono a questa disciplina. Sulle tracce della definizione di neurobiologia animale o umana, tuttavia, è possibile definire la neurobiologia delle piante come «una disciplina scientifica che si occupa della struttura, funzione, sviluppo, genetica, biochimica, fisiologia, farmacologia e patologia dei sistemi (cellule, tessuti, organi) che regolano la risposta della pianta a stimoli interni ed esterni. Lo studio del comportamento e dell’apprendimento sono anche una divisione della neurobiologia vegetale». È una definizione piuttosto ampia ed in effetti numerosi tradizionali settori di studio della biologia, biofisica, ecologia, agraria, quali lo studio degli stress biotici e abiotici, la comunicazione fra piante, la trasmissione di segnali, le capacità di adattamento delle piante, rientrano a pieno titolo nella sfera di interesse della neurobiologia vegetale. La differenza è che la neurobiologia vegetale guarda a questi consueti ambiti di studio da un nuovo punto di vista e cioè che le piante superiori non solo siano capaci di ricevere segnali dall’ambiente circostante ma che posseggano anche meccanismi atti alla rapida trasmissione di questi, e siano, inoltre, in grado di rielaborare le informazioni ottenute dall’ambiente: in questo manifestando una capacità di apprendimento che implica la ricerca di uno scopo, la capacità di stimare gli errori e la presenza di meccanismi mnemonici. In poche parole la neurobiologia vegetale guarda alle piante come esseri capaci di calcolo e scelta, di apprendimento e memoria. Se queste attività siano o no da considerarsi intelligenti è soltanto una questione linguistica. Ci sono diverse sorprese se applichiamo una prospettiva “neurobiologica” allo studio dei tessuti vegetali ed alla stessa organizzazione della pianta. L’auxina si comporta come un vero e proprio neurotrasmettitore specifico delle piante. Gli apici radicali esibiscono un’attività neuralsimile. Ed ancora, gli elementi vascolari permettendo il rapido scorrimento dei segnali idraulici e dei potenziali d’azione, rappresentano la principale via per la segnalazione a lunga distanza. Il fatto che le piante siano in grado di rilevare le condizioni ambientali e di prendere decisioni circa le loro future attività rende ovvio che posseggano dei sistemi d’archiviazione ed elaborazione delle informazioni.
Charles Darwin e gli apici radicali
Nel 1880, Charles Darwin, assistito da suo figlio Francis, pubblicava un libro fondamentale per lo studio della fisiologia vegetale: si tratta del famoso The power of movement in plants. Nelle ultime pagine del capitolo finale Darwin riflette sulle sorprendenti caratteristiche dell’apice radicale: «Non è una esagerazione dire che la punta delle radici, avendo il potere di dirigere i movimenti delle parti adiacenti, agisce come il cervello di un animale inferiore; il cervello essendo situato nella parte anteriore del corpo riceve impressioni dagli organi di senso e dirige i diversi movimenti della radice». Charles Darwin era sempre stato affascinato dalle caratteristiche dell’apice radicale. Nella sua autobiografia (1888) scrive di «sentire uno speciale piacere nel mostrare quanti e come mirabilmente ben adattati siano i movimenti posseduti dall’apice della radice». Quello che impressionava maggiormente Darwin era l’abilità delle radici nel: 1) percepire contemporaneamente molteplici stimoli ambientali, 2) essere in grado di prendere una decisione, e 3) muoversi in funzione di questa. Darwin espose le radici a numerosi stimoli quali fra gli altri la gravità, la luce, l’umidità, il tocco e si accorse che due o più stimoli applicati contemporaneamente potevano essere distinti dagli apici radicali e che la risposta a questi stimoli era tale da presupporre che la radice fosse in grado di distinguere fra i diversi stimoli e giudicare quale fosse più importante ai fini della sopravvivenza dell’intera pianta. Solo recentemente si sono ottenute prove sperimentali che confermassero queste intuizioni di Darwin. A più di cento anni dalla originaria idea di Darwin, la presenza di una speciale zona sensoria e di calcolo posta nell’apice radicale, è ormai un dato certo. Per il lettore che volesse approfondire l’argomento si suggerisce la lettura del libro recentemente edito dalla Springer “Plant Communication – Neural aspect of plant life” (Baluska, Mancuso e Alcuni aspetti di neurobiologia vegetale Volkmann, 2006), che tratta diffusamente dell’argomento. Esistono molte buone ragioni perché nel corso dell’evoluzione le piante abbiano sviluppato i loro tessuti simil-neurali negli apici radicali, sepolti nella profondità della terra. Innanzi tutto il suolo rappresenta un ambiente più stabile in confronto a quello atmosferico sia in termini di temperatura che d’umidità; è protetto dalla predazione animale, dall’ozono atmosferico così come dalla radiazione UV solare. Considerando le radici come la sede di attività simil-neurale, si ha una visione della pianta parecchio differente da quella normalmente considerata. Le radici diventano l’organo più importante della pianta, i loro apici formano un fronte in continuo avanzamento con innumerevoli centri di comando. L’intero apparato radicale guida la pianta con una sorta di cervello collettivo o, meglio, di intelligenza distribuita su una larga superficie che, mentre cresce e si sviluppa, acquisisce anche informazioni importanti per la nutrizione e per la sopravvivenza della pianta.Questo fronte in avanzamento può raggiungere dimensioni sorprendenti. Una singola pianta di sorgo, per esempio, dopo sole due settimane di crescita sviluppa 2,6 x 103 apici radicali, e questo è un valore del tutto trascurabile se paragonato alla produzione di apici radicali di un albero adulto. Non è facile ottenere dati certi, tuttavia in un singolo centimetro cubico di suolo forestale sono stati contati più di mille apici radicali. Una delle maggiori difficoltà nel registrare e riconoscere i comportamenti delle piante nasce dalla inadeguatezza delle tecniche attualmente disponibili per registrare i movimenti delle radici. Ciò che sarebbe necessario è un metodo non-invasivo e continuo di analisi dell’immagine tridimensionale dell’intero apparato radicale. Alcuni metodi come la risonanza magnetica o la tomografia sono stati proposti ma richiedono ancora molta sperimentazione prima di poter fornire dati accettabili. In passato numerosi sistemi (isotopi, rizotroni, ecc.) sono stati utilizzati, nessuno dei quali, tuttavia, è risultato soddisfacente. Al momento, nella maggior parte le tecniche per lo studio delle radici sono distruttive, basate sulla escavazione dell’apparato radicale. Soltanto quando l’apparato radicale potrà essere studiato in continuo sarà possibile svelare i sorprendenti comportamenti della radice.
Integrare molteplici informazioni in una unica risposta richiede del calcolo
L’abilità nel sentire i differenti parametri ambientali e nel rispondere ad essi è uno dei fattori comuni a tutti gli esseri viventi. Piante ed animali non sono oggetti passivi di fronte agli stimoli che provengono dall’ambiente. Al contrario, essi reagiscono in accordo con le informazioni che ricevono dall’esterno e la loro risposta ai segnali è ciò che noi chiamiamo comportamento. In sintesi, gli animali si muovono in risposta ai segnali mentre le piante modificano il loro metabolismo. In realtà si muovono anch’esse ma con tempi molto più lenti e, solitamente, attraverso una crescita cellulare. Questa capacità è particolarmente sviluppata nelle piante a causa della loro necessità di gestire efficacemente tutti gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, senza possibilità di scappare. Le piante rispondono a numerosissimi stimoli ambientali, quali risorse energetiche (luce, elementi minerali ed acqua), stimoli meccanici,struttura del suolo, umidità, temperatura, composizione in gas dell’atmosfera. In ogni caso, la forza, la direzione, la durata, l’intensità e le caratteristiche specifiche dello stimolo sono discriminate singolarmente dalla pianta. Anche i segnali biotici quali la presenza/assenza di piante vicine, l’identità di queste piante, la competizione, la predazione e le malattie sono altrettanti stimoli, spesso di natura estremamente complessa, che la pianta registra continuamente e a cui risponde in maniera appropriata. Non esiste un’unica separata risposta per ognuno di questi segnali, ma piuttosto una soluzione che nasce dall’integrazione di tutti questi parametri percepiti contemporaneamente ed integrati con le informazioni riguardanti lo stato interno della pianta. Fra le piante i soggetti più interessanti nello studio della segnalazione sono senza dubbio gli alberi. Questi a causa delle grandi dimensioni devono possedere sistemi particolarmente efficienti per trasmettere i segnali in breve tempo da una parte all’altra del loro corpo. Gli alberi vivono in un ambiente in continua mutazione e benché non tutte le parti di uno stesso albero siano contemporaneamente soggette allo stesso stimolo nello stesso tempo, essi rispondono in maniera coordinata, dimostrando non solo un sistema di comunicazione meravigliosamente funzionale, ma anche una capacità decisionale che si manifesta nello scegliere la corretta risposta a stimoli differenti, che possono, frequentemente, richiedere soluzioni contrastanti. Per anni i ricercatori hanno concentrato tutti i loro sforzi nello studio dei segnali chimici, essenzialmente di natura ormonale, quali unici veicoli della trasmissione di informazioni nel corpo della pianta, escludendo di fatto dai loro studi i segnali elettrici ed idraulici. E ciò, nonostante il fatto che proprio negli alberi, a causa delle loro estese dimensioni, la necessità di segnali differenti da quelli chimici rappresentasse un importante requisito. Considerando l’enorme area fogliare di alcuni alberi, risulta evidente come per trasportare un segnale chimico dalle radici alle foglie sia necessario sintetizzare e trasportare grandi quantità di ormoni. Al contrario i segnali elettrici o quelli idraulici, nonostante siano di diversi ordini di grandezza più veloci di qualunque segnale chimico, non necessitano di alcun tipo di sintesi. Dato l’elevato numero di segnali che la pianta deve integrare in una singola azione, è certo che una risposta automatica agli eventi ambientali non può essere sufficiente. Infatti, sebbene la risposta delle piante ad un singolo segnale sia di solito proporzionata alla sua forza ed intensità, il numero di segnali a cui una pianta deve far fronte, soprattutto in un ambiente naturale, è altissimo. In questi casi soltanto un calcolo complesso può fornire le soluzioni adatte alla sopravvivenza.
Allelopatia ed allelobiosi: guerra e pace nel mondo vegetale
La coesistenza è la più comune condizione in cui le piante si trovano a vivere. Poiché non sono in grado di spostarsi, la loro sopravvivenza è direttamente legata alla capacità di vincere la competizione con le piante vicine. A tal fine è indispensabile che le piante posseggano un sistema di percezione rapida dei segnali emessi dai competitori circostanti e di risposta adeguata alle possibili minacce. Nella porzione di suolo che circonda le radici, le piante secernono una straordinaria quantità di sostanze organiche fra le quali amminoacidi, carboidrati e metaboliti secondari. La quantità di carbonio spesa dalle piante per questa attività è sorprendentemente alta: si va dal 30% del totale di fotosintetati rilasciata dalle radici dei semenzali, al 5-20% emesso dalle radici delle piante adulte. Questi essudati radicali hanno molteplici effetti sulla chimica del suolo, sulla sua biologia ed ecologia. In particolare, essi costituiscono una vera e propria forma di comunicazione sotterranea, mediando messaggi per competitori, simbionti o patogeni.Uno dei più conosciuti sistemi di interazione fra piante ricorda una vera e propria guerra chimica, nella quale i composti emessi da una pianta nell’ambiente influenzano la crescita e lo sviluppo delle piante circostanti. Questa guerra fra confinanti fu per la prima volta osservata da Molish nel 1937 che la chiamò allelopatia dal greco allelon “reciproco” e pathos “sofferenza”. L’allelopatia è stata a lungo un importante argomento di studio in agraria e numerosi lavori hanno dimostrato come essa influisca su molti aspetti della coesistenza e competizione fra piante. Nonostante ciò, a circa 70 anni dalla sua scoperta, il ruolo dell’allelopatia nell’ecologia vegetale rimane abbastanza confuso. Mentre l’allelopatia individua un tipo di interazione/comunicazione fra piante basato sulla emissione di sostanze dannose o repulsive, recentemente si è scoperto che le piante sono in grado di emettere composti la cui valenza non è affatto di “minaccia”, ma, al contrario, è benefica per la pianta ricevente. Questo fenomeno è stato chiamato allelobiosi e rappresenta uno dei più avvincenti campi della moderna ricerca in ecologia vegetale. Perché si possa parlare di allelobiosi bisogna: a) che la comunicazione avvenga fra piante sane (non danneggiate); b) che questa comunicazione sia benefica per la pianta ricevente ed, infine, c) che la risposta nella pianta ricevente influenzi in qualche misura la sua crescita. Si è così scoperto che piante appartenenti alla stessa specie/varietà scambiano fra di loro messaggi chimici riguardanti le risorse disponibili quali luce, acqua, nutrienti minerali. Queste informazioni permettono alle piante compagne di modificare la propria strategia di crescita, così da rispondere meglio alle necessità poste dall’ambiente. Per esempio, la crescita di semenzali di orzo(una specie modello per quanto riguarda gli studi di allelopatia o di allelobiosi) è inibita, attraverso una classica risposta allelopatica, quando essi sono esposti alle molecole volatili emesse da specie quali la Sasa cernua o l’Eucalyptus globulus. Al contrario, se sottoponiamo gli stessi semenzali ai composti volatili emessi da piante adulte di orzo abbiamo una risposta allelobiotica che permette ai semenzali di modificare la loro strategia di crescita, ingrandendo l’apparato radicale a scapito di quello aereo. Grazie a questa riallocazione della biomassa la ricerca dei nutrienti, in una situazione di competizione, potrà essere svolta con maggiori probabilità di successo. Si inizia, così, a delineare una rete di relazioni basate sulle comunicazioni che può essere, senz’altro, definita come un’attività di tipo sociale.Le piante, oltre a possedere una efficiente catena segnalatoria attraverso la quale regolano le attività del corpo vegetale, inviano numerosi segnali agli organismi circostanti. Si tratta perlopiù di segnali chimici quali una miriade di derivati degli acidi grassi, benzenoidi, terpenoidi, ed altre sostanze profumate emesse dai fiori principalmente per attrarre gli impollinatori, ma anche altri composti volatili, come l’isoprene ometaboliti secondari di diversa natura, emessi dalle foglie. Una lunga serie di studi negli anni passati ha dimostrato come le piante attaccate da insetti erbivori o patogeni, emettano sostanze volatili in grado di segnalare il pericolo alle piante vicine. Le sostanze volatili prodotte dalle piante attaccate possono indurre risposte di varia natura nelle piante vicine ancora intatte, rendendole repulsive per gli erbivori e/o attraenti per i nemici naturali degli erbivori. Insomma, un insospettato mondo di relazioni fra le piante e gli altri organismi viventi va svelandosi agli occhi degli studiosi. Alcuni sistemi di comunicazione erano noti da molto tempo, altri, come l’uso dei colori di cui parleremo nel seguente paragrafo, sono stati scoperti soltanto recentemente e contribuiscono a rappresentare, con sempre maggiore efficacia, le piante come organismi impegnati in un complesso esercizio di relazioni.
Segnali di colore
Uno dei più affascinanti risultati degli ultimi anni, è la scoperta che i cambiamenti di colore e le combinazioni di colori delle piante siano potenti strumenti di comunicazione fra piante ed animali. La funzione dei colori ed il loro ruolo in chiave evoluzionistica, sono un importante settore di studio della zoologia. Al contrario nelle piante, se si escludono gli studi sull’interesse dei colori per l’attrazione degli impollinatori da parte dei fiori, questo argomento è stato costantemente sottostimato. Eppure i segnali visivi mandati agli animali dovrebbero essere molto più efficienti in confronto a quelli olfattivi. Soprattutto a lunga distanza, un segnale visivo è più percepibile e nello stesso tempo meno soggetto alle modificazioni dell’ambiente.Uno dei più straordinari segnali visivi delle piante è la bellissima colorazione autunnale prodotta da molti alberi decidui. Perché alcune specie producano questa spettacolare esibizione di colori durante l’autunno è stato per molti anni un rompicapo. La spiegazione più comune descriveva questa commovente esibizione della natura come un semplice effetto secondario della degradazione della fotosintesi e della senescenza delle foglie. Secondo questa teoria la degenerazione dei cloroplasti e la degradazione dei pigmenti clorofilliani in molecole non colorate di più basso peso molecolare, permette ai pigmenti rossi e gialli di emergere dal sottofondo durante il periodo autunnale. Questa interpretazione, tuttavia, non chiarisce come mai molte specie non hanno alcuna colorazione autunnale. Inoltre, è ormai certo che tale colorazione è in parte conseguenza della sintesi de novo di pigmenti coloranti.Negli ultimi cinque anni una serie di brillanti studi hanno scoperto una realtà del tutto differente, dimostrando che queste colorazioni sonoun segnale dell’abilità degli alberi a difendersi dagli attacchi degli afidi.La teoria di Hamilton e Brown suggerisce che la sfavillante colorazione autunnale sia un segnale per gli afidi che in questo stesso periodo dell’anno cercano un posto dove deporre le loro uova. In pratica un albero dopo aver investito intensivamente in difese chimiche, avverte l’afide, attraverso la colorazione, che è pronto a difendersi da eventuali attacchi.Si tratta di un sistema di segnalazione, chiamato “del segnale onesto”, ben noto alla biologia evolutiva animale. Sono moltissimi gli esempi di questo tipo di segnalazione fra gli animali ed anche fra gli uomini. Dalle gazzelle che saltano sul posto per segnalare il loro buon stato di forma ad un eventuale predatore, all’ostentazione da parte degli uomini di “status symbol” come segnale di forza e potere.
Conclusioni
La nostra idea delle piante sta mutando con rapidità straordinaria, allontanandosi dalla vecchia descrizione delle piante come entità passive completamente soggette alle forze dell’ambiente circostante buone soltanto ad accumulare i prodotti della fotosintesi. Al contrario la nuova idea è quella di organismi dinamici ed altamente percettivi, in competizione attiva, sopra e sotto il suolo, per le limitate risorse disponibili, che calcolano attentamente le loro azioni, valutano i rischi e intraprendono azioni atte a mitigare o controllare i possibili insulti dell’ambiente. Questa nuova visione descrive le piante come organismi in grado di decodificare e processare informazioni provenienti dagli organismi viventi con i quali entrano in contatto.In poche parole, le piante presentano comportamenti altrettanto sofisticati di quelli animali ma il loro potenziale è sempre stato mascherato da scale temporali molto più lunghe di quelle tipiche del mondo animale.Le piante sono organismi sessili. La sola risposta che possono fornire ad un ambiente in continuo cambiamento è un’altrettanta rapidità di adattamento. Per questo le piante hanno sviluppato apparati di comunicazione e di decodificazione delle informazioni estremamente efficienti e robusti, basati su segnali sia chimici che elettrici. Nei prossimi anni, grazie agli studi di neurobiologia vegetale si chiarirà il ruolo dei neurotrasmettitori nelle piante, risolvendo il mistero del perché gli organismi vegetali posseggano quasi l’intera serie dei neurotrasmettitori che permettono al cervello di funzionare. Insomma, molte sorprese ci attendono grazie alle ricerche della neurobiologia vegetale. Tramite le scoperte di questa disciplina, sarà possibile collocare le piante al posto che spetta loro fra le creature viventi con effetti concreti sia a livello scientifico/tecnico che etico e filosofico.
Bibliografia
BALUSKA, F. – MANCUSO, S. – BARLOW, P. – VOLKMANN, D. 200

shantij

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