Pace e dialogo -Relazione del Prof. Aldo Stella al Meeting del Mandir della Pace

Pace e dialogo
Relazione del Prof. Aldo Stella (medico-filosofo-docente Università di Perugia)
Assisi 11/9/2004-Meeting del Mandir della Pace
A) Fondamenti teoretico-speculativi
a. La verità è innegabile. Chi nega la verità non si avvede di attribuire verità alla negazione e, dunque, non fa che riproporre quella verità, che pure vorrebbe negare. È la stessa situazione in cui si trova chi afferma che tutto è relativo: questi non si avvede che almeno la sua affermazione “tutto è relativo” deve valere come assoluta, se intende affermare qualcosa, dal momento che ad-firmare (da cui “affermazione”) indica il tenere fermo, l’assumere qualcosa come stabile.
b. Ma la verità non è determinabile. Se venisse determinata, essa verrebbe determinata da qualcosa di diverso da sé, dall’altro dalla verità, cioè dalla non-verità. Per questa ragione, la verità non può non essere assoluta, nel senso di sciolta (ab-soluta) dalla relazione che la vincola ad altro e, vincolandola, la fa dipendere da altro da sé. Le molte verità dell’esperienza sono tali perché intendono fondarsi su quell’unica Verità che tutte le trascende e che nessuna di esse può avere la pretesa di risolvere in sé.

c. Proprio perché assoluta, la verità non può venire inclusa nell’ordine delle conoscenze empiriche né può valere come un “contenuto” del sapere, come un’affermazione, una teoria, un discorso, una convinzione, e così via. L’unica verità che compare nell’esperienza è l’intenzione pura che spinge ciascuno a ricercare la verità assoluta e, dunque, a superare le proprie opinioni soggettive. Ricercare la verità significa sapere che compito dell’uomo è quello di mettere in discussione i punti fissi, i propri presupposti, le proprie certezze, che tendono a presentarsi come se fossero la verità, senza esserlo. Tuttavia, proprio per poter svolgere questa attività critica, rivolta verso se stessi, non ci si può non affidare alla verità stessa, confidando sia essa a guidare la ricerca e la critica di ciò che verità non è, ma pretende di presentarsi come se lo fosse. La prima pretesa che deve venire smascherata è quella egoica, che induce ogni io a considerarsi non solo il centro del mondo, ma anche il fine del mondo oltre che la sua destinazione. L’ego è la prima contraffazione della Verità.
B) Articolazione del discorso per punti essenziali
1. VALORE DEL DIALOGO. Il dia-logos indica il pervenire alla ragione (logos, ratio) mediante (dia) la ragione e, in particolare, mediante la ragione dell’altro. La ragione, del resto, è tale perché la sua autentica aspirazione è quella di valere quale ragione universale, vera. Pensando, quindi, si produce una dialettica tra l’intenzione e la pretesa: l’intenzione è rivolta al vero e intende che sia il vero a guidare la ricerca, in modo tale che l’ego dismette la sua boria; la pretesa, di contro, è che il vero possa venire ipotecato dall’ego e, quindi, ridotto ad un qualche enunciato, ad un qualche discorso, ad una qualche teoria, di cui l’ego orgogliosamente ritiene di essere l’artefice. In tal modo la verità, da ideale della ricerca, decade a suo momento, quindi si presenta come un dato d’esperienza, un fatto, per sua natura finito e determinato.
2. DIALOGO E VERITA’. Il dialogo costituisce la forma più adeguata in cui trova espressione l’intenzione di verità. Tanto come dialogare con se stessi quanto come dialogare con l’altro, pensare è porre domande nell’intento di rispondere ad esse. L’intenzione di verità non può dunque venire mai confusa con la pretesa di possederla: chi pre-tende non cerca: postula di essere già arrivato. Chi in-tende, invece, accetta di mettere in discussione le proprie certezze, perché riconosce la differenza che sussiste tra la certezza, per sua natura soggettiva, e la verità, che non può non avere valore oggettivo.
3. DIALOGO E PSEUDODIALOGO. La differenza tra il dialogo autentico e il dialogo fittizio consiste nel fatto che quest’ultimo è la somma di due monologhi: ciascuno finge di dialogare con l’altro, ma in effetti vuole soltanto imporre all’altro la propria opinione, la propria certezza. Tuttavia, è da porre la seguente domanda: perché avere tanto bisogno di imporre all’altro la propria opinione, se si fosse effettivamente certi della sua verità?

4. POLEMOS E DIALOGOS. Allorché si vuole imporre all’altro la propria opinione si instaura una dinamica polemica: il polemos è la guerra posta in essere da chi non vuole vincere insieme all’altro (con-vincere), ma pretende di vincere sull’altro. L’altro è visto come un nemico e non come un alleato: ci si allea con l’altro solo allorché il fine è trionfare sulla propria pretesa, ricercare insieme una verità che, proprio perché oggettiva, non può non emergere oltre la soggettività dei punti di vista.

5. PACE E DIALOGO. Chi pretende di possedere la verità finisce per pretendere di imporla agli altri e non può non essere violento. Chi, invece, riconosce con Socrate il proprio “non sapere”, cioè sa che ciò che cerca, la verità appunto, non è mai ciò che trova, le molteplici opinioni, ebbene costui si apre all’altro, perché riconosce che solo in forza dell’opinione dell’altro egli può riconoscere il limite della propria. L’apertura è la condizione per una effettiva pacificazione non solo con l’altro, ma anche con se stessi, dal momento che l’io è tale solo nella relazione al tu.

6. LA CRESCITA NELLA PACE DEL DIALOGO. Solo mediante il dialogo, quindi, l’io può allargare i propri orizzonti, perché solo nel dialogo egli riconosce i propri limiti e, riconoscendoli, può oltrepassarli. Per fare ciò, deve imparare a non cedere al proprio egoismo: l’egoismo è il male radicale perché impedisce di ricercare l’effettiva salvezza, la quale risiede nella ricerca di verità che si pone in virtù della intenzione, che alla verità si affida e nella verità confida, e in forza del dialogo con l’altro e dell’apertura all’altro. L’intenzione offre una fondazione trascendentale al dialogo; l’apertura fornisce ad esso una dimensione empirica, perché crea una relazione tra l’io e il tu, quindi realizza la loro autentica pacificazione.

7. PACE E VERITA’. Pace è espressione che indica il convenire su qualcosa di comune: pace e patto hanno la stessa radice (pak). Per convenire su qualcosa, quest’ultimo deve essere talmente comprensivo da includere punti di vista diversi, anche divergenti. Solo la verità è in grado di neutralizzare la differenza dei punti di vista, perché solo la verità è effettivamente universale. La verità, però, è innegabile, ma non determinabile. È innegabile, perché anche la negazione della verità deve valere come vera, se intende negare la verità; è indeterminabile perché, se venisse determinata, essa scadrebbe a fatto, a dato empirico, a condizionato, così che ad essere vero sarebbe il sistema che la determina.

8. PACE, VERITA’ E DIALOGO. Solo il dialogo esprime dunque l’autentica ricerca di verità, per la ragione che nel dialogo tacciono le pretese e si realizza la condizione necessaria per una ricerca che sia effettivamente ricerca della verità e non della propria affermazione, della propria valorizzazione. Del resto, smetto di fare la guerra all’altro soltanto quando scopro che l’altro è essenziale alla mia ricerca: senza l’altro sono destinato a perdermi nelle mie pretese, ma in una perdizione che non si capovolge mai in salvezza. Perdendomi nell’altro, invece, mi libero dall’egoismo che soffoca il mio io e sono destinato all’autentica salvezza, la salvezza dall’inganno di chi si attacca ostinatamente a se stesso, perché non si avvede che è proprio da questo attaccamento che deve salvarsi.

9. INESAURIBILITA’ DELLA RICERCA. La ricerca è inesauribile perché la verità è e permane ideale. Essa, pertanto, non si risolve mai in una conoscenza che sia di fatto raggiungibile e proprio per questa ragione spinge l’uomo sempre avanti, alla ricerca di unità sempre più comprensive, di orizzonti sempre più ampi e che siano tali da includere, non da escludere, tali da armonizzare, non da costringere. Si potrebbe dire, allora, che il dialogo ha una valenza fisica, perché si realizza tra gli uomini nell’esperienza; ma ha un valore metafisico, perché si pone in quanto evocato dalla verità, che trascende gli uomini e la loro esperienza. Che, anzi, proprio in quanto ideale, costituisce il compimento e la destinazione dell’esperienza ordinaria.

10. LA DIFFERENZA TRA DIALOGO E COMPROMESSO. Se si perde di vista che il fine del dialogo è la verità, che permane ideale, allora si corre il rischio di equivocare tra dialogo e compromesso. Il compromesso è la soluzione pratica della ricerca, il tentativo di trovare di volta in volta un punto di incontro tra prospettive diverse, tra opinioni contrastanti. Sennonché, il compromesso che di fatto si raggiunge non esaurisce mai in sé l’ideale che viene effettivamente ricercato, quella verità che costituisce l’autentica unità, perché in essa e solo in essa trovano autentica conciliazione i molteplici e contrastanti punti di vista. Ricordare ciò è fondamentale perché spinge l’uomo sempre avanti, lo induce a non accontentarsi mai delle mediazioni raggiunte: se l’uomo si ferma, allora crede di essere arrivato alla verità e diventa arrogante, perfino violento.

11. COMUNICAZIONE E DIALOGO. Il “comunicare” indica il commune facere, ossia il rendere comune qualcosa. Da questo punto di vista, dunque, il comune risulta il risultato della comunicazione. Ma da un altro punto di vista è possibile comunicare solo se c’è già un comune, che fonda la comunicazione: senza un orizzonte comune, un linguaggio comune, un’intenzione comune la comunicazione è impossibile. Comunicazione e dialogo, è questa la conclusione, non soltanto vanno in cerca di una verità che accomuni, ma più radicalmente si fondano sul comune rappresentato dalla verità, la quale è tanto fine quanto origine della ricerca: la verità è trascendentale perché è immanente alla ricerca, dal momento che la evoca, ma è anche trascendente, dal momento che emerge oltre di essa e non è mai includibile definitivamente in essa.

shantij

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